Divieto di licenziamento: un compromesso tra libertà d’impresa e pace sociale

“Se non hai la forza di imporre le tue condizioni alla vita, devi accettare quello che la vita ti offre”, scriveva Thomas Stearns Eliot. La considerazione del poeta è pacificamente utilizzabile per sintetizzare l’approccio che il mondo dell’impresa (quantomeno quella manifatturiera) dovrà necessariamente adottare nell’applicazione delle nuove disposizioni dettate dall’art. 4 del D.l 99/2021, titolato “Misure urgenti in materia fiscale di tutela del lavoro, dei consumatori e di sostegno alle imprese”.

È in effetti evidente come, al di là delle dichiarazioni politiche di principio tese a rivendicare da un lato l’assoluta necessità di una liberalizzazione globale della facoltà di licenziare e, dall’altro, a far paventare il timore dell’esplosione di una vera e propria bomba sociale, parafrasando il titolo di un noto disco del cantautore Pino Daniele, si sia configurato in sostanza uno “sblocco a metà”, una soluzione compromissoria che rivela di per sé l’inesistenza di quella “forza di imporre le tue condizioni alla vita” di cui parlava per l’appunto Eliot (e quindi, per converso, della naturale conseguenza di dover accettare quello che la vita ti offre).

Fattori di inibizione per le aziende

Nella fattispecie ci si riferisce alla combinazione normativa che di fatto consegue alla compresenza dal 1 luglio 2021, data di sblocco effettivo del divieto di licenziamento (che era stato da ultimo prorogato al 30 giugno 2021 dal decreto Sostegni del 22 marzo), dell’art. 4 del D.l 99/2021 e dell’art. 40, commi 3-5, del D.l 73/2021 (che dovrebbe essere convertito in Legge entro il 24 luglio 2021). Quest’ultima normativa infatti, all’art. 40, comma 4, dispone una particolare tipologia di prosecuzione “non uniforme” del divieto, sancendolo solo per i datori di lavoro che presentino domanda di integrazione salariale ai sensi degli articoli 11 e 21 del D.lgs 148/2015. Si tratta in pratica della domanda di concessione del trattamento di Cassa integrazione guadagni ordinaria o straordinaria o di contratto di solidarietà difensivo, poiché nel frattempo il suddetto art. 40, comma 1, ha invece introdotto una nuova particolare forma alternativa di contratto di solidarietà cui si accennerà più avanti, che durerà solo fino al 31 dicembre 2021.

In questo intricato contesto va infatti sottolineato che l’art. 4 del D.l 99/2021 ha introdotto, nel corpus del D.l. 73/2021, un art. 40 bis che di fatto incide sulla materia de qua come ulteriore fattore inibitore per le aziende in condizioni di difficoltà particolarmente gravi, della facoltà di licenziare. A ciò si aggiunga il documento di presa d’atto sottoscritto dal Governo e dalle parti sociali il 29 giugno 2021, in base al quale esse, “alla luce della soluzione proposta dal Governo sul superamento del blocco dei licenziamenti, si impegnano a raccomandare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali che la legislazione vigente e il decreto legge in approvazione prevedono in alternativa alla risoluzione dei rapporti di lavoro”. Nel contempo le parti medesime “auspicano e si impegnano, sulla base di principi condivisi, a una pronta e rapida conclusione della riforma degli ammortizzatori sociali, all’avvio delle politiche attive dei processi di formazione permanente e continua” (“vaste programme” avrebbe chiosato il Generale Charles De Gaulle).

Il carattere selettivo della fase di sblocco dei licenziamenti

Fatta questa necessaria premessa, se si plana nel campo dell’analisi prettamente giuridica ci si trova di fronte a un puzzle di situazioni differenti per nulla semplici da ricostruire nei dettagli (fermo restando il rischio, costituzionalmente inevitabile, che le norme in oggetto possano essere emendate/modificate, magari parzialmente, nel corso del dibattito parlamentare prodromico alla definitiva conversione in legge). Trattasi comunque di norme a oggi sicuramente applicabili e tenendo conto anche del fatto che la Commissione europea, nel frattempo, ha a sua volta giudicato controproducente il divieto dei licenziamenti, poiché ostacolerebbe il necessario adeguamento della forza lavoro a livello aziendale. In effetti il caso italiano rappresenta, sotto questo profilo, una sorta di unicum a livello europeo, sia per la pesantezza del blocco sia per la sua lunga durata, fermo restando che ogni valutazione del medesimo, positiva o meno, andrebbe pur sempre inquadrata nell’ambito dell’indubbia eccezionalità della situazione pandemica.

La prima cosa che balza all’occhio è il carattere oggettivamente “selettivo” della fase di sblocco (oppure, ragionando al contrario, della permanenza del blocco per quanto temporaneamente circoscritto ex novo). Va comunque ricordato, innanzitutto, che il blocco dei licenziamenti riguardava, sì, tutti i datori di lavoro, indipendentemente dal numero dei loro dipendenti, ma si riferiva solo alle procedure di licenziamento collettivo e a quelle di licenziamento individuale per giustificato motivo. L’art. 40 del D.l 73/2021 ne aveva già disposto la proroga sino al 30 giugno 2021 per le aziende che facessero ricorso, dopo tale data, alla Cassa integrazione guadagni per covid-19 (e al 31 ottobre per quelle cui era invece riservata l’utilizzabilità del cosiddetto Fondo di integrazione salariale – Fis, o della cassa in deroga), rendendo palese in tal modo il fil rouge che nelle intenzioni governative doveva legare la permanenza del blocco alla reale fruizione degli ammortizzatori sociali. In pratica, una sorta di do ut des: il Governo garantisce l’accessibilità degli ammortizzatori e perciò il datore di lavoro non può licenziare finché li usa.

Con il D.l 99/2021 questo meccanismo è stato, in parallelo, sia ampliato sia rafforzato, perché sono state introdotte ulteriori casistiche ‘speciali’ (da qui la selettività che, come già accennato dianzi caratterizza il provvedimento), mantenendo peraltro fermo il legame concettuale di base richiamato in precedenza. O in alternativa settorializzando il blocco tramite un’applicazione più rigida limitatamente ad alcuni comparti merceologici, da un lato particolarmente colpiti dagli effetti devastanti della crisi pandemica e dall’altro già afflitti da tempo da pesanti deficit strutturali finanziari e/o organizzativi e/o di mercato.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Luglio-Agosto della rivista Sviluppo&Organizzazione.
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Ernesto Di Seri

Docente a contratto di Diritto per l'Ingegneria all'Università Luic Carlo Cattaneo di Castellenza. Sulla rivista ESTE Sviluppo&Organizzazione cura la rubrica 'Gli scenari del lavoro' in cui analizza le dinamiche complesse del lavoro, innescate da fattori sociali, tecnologici, giuridici e contrattuali.

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