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Fiducia e relazioni, la scommessa dell’HR per la ripartenza

“Fiducia” e “relazioni”: sono queste le parole chiave per ripartire dopo l’emergenza sanitaria che ci ha travolti. A condividere queste considerazioni i relatori della tavola rotonda dell’edizione 2020 de Il Convivio di Persone&Conoscenze, il più grande evento dedicato ai temi HR organizzato dalla casa editrice ESTE e dalla sua rivista Persone&Conoscenze, di cui Parole di Management è Media Partner.

Questa pandemia ha senz’altro messo in discussione tanti aspetti delle nostre vite. Anche per quanto riguarda il mondo del lavoro, i modelli organizzativi che avevamo conosciuto finora si sono rivelati del tutto inadatti ad affrontare l’emergenza. D’altra parte, si è trattato di un evento inaspettato: nessuno di noi poteva essere preparato. Eppure, ogni realtà aziendale ha cercato di fare del proprio meglio per andare incontro al cambiamento. Che non sempre è stato negativo.

Marco Bossi, Managing Director di Talentia Software, ha riscontrato addirittura un miglioramento della produttività dei lavoratori. Nulla di miracoloso: la ricetta vincente è insita in una buona comunicazione e nella collaborazione tra la Direzione Generale, quella del Personale e l’area Informatica, che ha avuto il gravoso compito di occuparsi delle infrastrutture tecnologiche. L’area HR, come detto, ha fatto la sua parte: “L’apporto degli HR manager è stato fondamentale, perché si sono dovuti trasformare in veri e propri coach”, ha detto Bossi.

Una finestra sulla quotidianità

Non solo dirigenti d’azienda, dunque, ma portatori di messaggi positivi, che sono stati determinanti durante la fase emergenziale (e continuano a esserlo). Sicuramente, il rischio di una sovraesposizione al lavoro l’abbiamo corso: sono venuti meno gli orari canonici e i ritmi che l’attività ‘in presenza’ ci aveva sempre dato. Il lavoro è entrato con prepotenza nelle case dei collaboratori e questa inaspettata ‘finestra’ sulla loro quotidianità ha portato a scoperte e considerazioni da cui difficilmente potremo tornare indietro.

“Ho fatto riunioni online con colleghe che avevano i bambini in braccio o erano ai fornelli, ma anche con collaboratori costretti in stanzette anguste, oppure con improvvisate dei figli”. Lo ha raccontato Gianni Sebastiano, Director Head of Strategy and Investor Relations del Gruppo Exprivia, per esemplificare il modo in cui il lavoro sia prepotentemente entrato nella vita delle persone. Eppure, quei bambini e quelle stanzette, ci sono sempre stati nella vita dei dipendenti. È questa la vera rivoluzione cui ci ha condotti la pandemia: una consapevolezza nuova sulla ‘normalità’ dei lavoratori.

Giovanni Piccirillo, Responsabile delle Relazioni industriali e della Normativa del Lavoro di Ericsson Italia, ha osservato come il lavoro da remoto sia entrato a gamba tesa anche nelle dinamiche familiari: “Abbiamo nuovamente vissuto le aziende come negli Anni 60, 70 e 80, quando esse erano un’estensione della vita familiare di ciascuno. Lo Smart working quindi, paradossalmente, non è stato un’innovazione, bensì un salto indietro di 50 anni, a una mentalità aziendalista che pensavamo di avere abbandonato da tempo”.

Il passaggio fondamentale che ci è stato richiesto, secondo Giovanni Mingrino, Development & Total Rewarding Manager di Fastweb, è stato quello dalla testa al cuore: “All’inizio ho cercato di capire cosa ci stesse succedendo, poi ho compreso che fermarsi alla dimensione del sapere non era utile, perché avere il controllo della situazione, delle variabili, era impossibile”. È così che l’asse è stata spostata verso una dimensione più pratica: dal sapere al fare, dal proliferare dei dati alla loro interpretazione.

Questo ha molto a che fare con il tema della fiducia. Già prima della pandemia, infatti, Fastweb aveva in mente un programma di feedback. “Le persone hanno bisogno di essere guardate e riconosciute, dobbiamo abilitare pratiche che spingano le persone a guardare i colleghi nella dimensione del potenziale, al di là di quello che fanno sul lavoro”. L’idea di Mingrino si è rivelata vincente, nonostante – o forse a causa – delle circostanze: il sistema di feedback ideato ha fatto sì che ci fossero molte restituzioni di valore in tal senso, in un momento in cui la costruzione della nostra immagine era inevitabilmente inficiata di elementi sfidanti riguardo alle proprie competenze, non solo professionali, ma anche trasversali.

La nuova dimensione che ci troviamo e ci troveremo a vivere dovrà per forza tenere conto di questa immagine composita del lavoratore. La nostra nuova normalità dovrà valorizzare la dimensione umana, al di là delle dinamiche strettamente lavorative. Siamo di fronte ad una vera e propria sfida evolutiva: la costruzione di una nuova identità.

Verso una nuova humanitas

L’unica risposta possibile per reagire positivamente alla transizione cui siamo andati incontro è rimettere al centro la persona in quanto tale, nella sua interezza (che comprende anche un background familiare e personale e che rende il lavoratore non solo un mero esecutore di compiti). Nonostante stiamo vivendo una tecnologizzazione spinta del lavoro, ma anche della vita in generale, il peso delle soft skill si fa sempre più determinante: questo ci impone un ripensamento di prospettiva.

La fiducia tra manager e collaboratore ha, in questa circostanza, un ruolo chiave. Il lavoro a distanza è necessariamente per obiettivi: questo ha aiutato il management a fare un salto di mentalità nella considerazione dell’operato dei collaboratori, che sono stati – alcuni per la prima volta – considerati come persone nella loro interezza e complessità.

Siamo di fronte a un nuovo umanesimo, che si contrappone (si sovrappone?), al proliferare e all’invadenza delle tecnologie. Individuare il modello vincente non è semplice: il Covid-19 ha fatto saltare tutte le metriche aziendali. La ricetta perfetta non esiste, ma si può e si deve personalizzare. Ecco che l’HR manager deve diventare un po’ più coach e un po’ meno leader. Deve essere in grado di dialogare con chi si occupa delle tecnologie, per ricondurre anch’esse a una dimensione più umana e funzionale. Quello che è certo, è che alle spalle serve una solida cultura aziendale: l’impresa deve essere un’orchestra, diretta dal CEO o dal Responsabile HR, e che deve suonare grazie a un armonico accordo tra le parti.

La tecnologia, in questo senso, deve essere un mezzo e non un fine: il processo di onboarding diventa il fulcro della vita aziendale. Non possiamo trascurare il fatto che il lockdown ci ha fatto completamente perdere quegli aspetti di socialità, anche ‘deboli’ – uno su tutti i momenti conviviali alla macchinetta del caffè – che contribuiscono, però, a costruire l’engagement del dipendente: l’HR manager ha il gravoso, ma stimolante compito di trovare nuovi strumenti per valorizzare la dimensione collaborativa anche nel contesto di una mediazione tecnologica.

La leadership, dunque, deve rivedere i propri modelli tradizionali, cominciando a considerare dimensioni più profonde e complesse del lavoratore, inteso come persona. Gianni Sebastiano, Director Head of Strategy and Investor Relations di Gruppo Exprivia, non ha trascurato di analizzare le criticità. “Attualmente viviamo una modalità di lavoro in deroga alla situazione abituale e non dobbiamo dimenticarlo”, perché il rischio di “esagerare, di non avere orari” è dietro l’angolo. Non abbiamo, quindi, soluzioni predefinite per tale situazione.

Rischiamo di prefigurare una società in cui tutti sono liberi professionisti e lavorano solo per obiettivi: è una società che a me non piace”, si è sbilanciato Sebastiano, che ha affermato di apprezzare una maggiore complessità sociale. Pensiamo a tutti i settori penalizzati, di riflesso, da questo nuovo modus operandi emergenziale: dai bar e ristoranti, appendici della socialità professionale, che fa parte della quotidianità del lavoro e della costruzione del team, fino alla architettura delle grandi città, le ripercussioni della pandemia sono tante, inaspettate e con ricadute a lungo termine. Sono cambiate le relazioni e “tornare indietro sarà difficile”, secondo Sebastiano. Cambierà l’architettura dei rapporti, di pari passo con quella delle città; muterà il ruolo dei sindacati e la modalità di gestione dei rapporti gerarchici. L’auspicio del manager di Exprivia è quello di un ritorno alle relazioni, base di ogni contesto aziendale ed organizzativo.

Voci femminili di fronte alla transizione: un approccio positivo e propositivo

Sono più facilmente le donne, tuttavia, in grado di dare voce alla dimensione emotiva legata al cambiamento che stiamo affrontando. Laura Tretter, HR Organization and Development Manager di Italfarmaco, ha sottolineato subito come le risorse interne e personali del dipendente siano la chiave di reazione al cambiamento. Il Covid è stato una palestra di esperienza per tutti: ha fatto emergere non solo la necessità del rapporto fiduciario tra l’azienda e i dipendenti, ma anche della riscoperta del ruolo educativo delle imprese.

Oltre a misurare prestazioni, vanno create occasioni per confrontarsi, che sostituiscano quel tipico “senso del controllo” di cui è permeata la nostra cultura aziendale. La trasformazione verso una cultura della fiducia è possibile solo se il dipendente non è considerato uno strumento, ma il fine. Il sistema di feedback può essere una bussola, ma questa deve essere puntata sempre in direzione di valori molto reali e concreti.

Della stessa idea Riccarda Zezza, CEO di Life Based Value, che ha offerto una prospettiva del tutto inedita sulla pandemia: “Molti sottolineano gli aspetti di innovazione che l’emergenza sanitaria ha portato con sé. Invece, dobbiamo considerare che quello che abbiamo imparato non è così nuovo”. La crisi, infatti, è una transizione, ma le nostre esistenze sono costellate di continue transizioni. Pensiamo al diventare genitori, al cambiare città, lavoro: sono tutti cambiamenti che ci insegnano qualcosa. “Se inquadriamo questo evento, per quanto negativo, sotto il cappello della ‘transizione’, scopriamo caratteristiche che, in realtà, conosciamo bene”. Per acquisire la fiducia di “potercela fare”, non dobbiamo “sentirci forti, ma essere consapevoli della nostra fragilità e dalla capacità di accettarla come compagna di viaggio”.

LBV ha ideato il Master Lifeed Crisi, proprio per aiutare le persone a gestire le transizioni: “Abbiamo indagato l’opinione di 2.000 persone e il 50% ci ha raccontato di avere scoperto, grazie alla pandemia, competenze che non sapeva di avere”, ha raccontato Zezza. Ogni avvenimento inatteso, infatti, ci permette di uscire dalla zona di confort e ciò “rimette in moto i meccanismi di apprendimento, che pensavamo sopiti”. La crisi, inoltre, ci consente di ripensare la cultura aziendale: nonostante la fatica, i dipendenti sanno riconoscere l’importanza dell’accompagnamento della propria realtà lavorativa nell’attraversare la tempesta degli eventi.

Dunque, non c’è momento migliore per liberarsi di ciò che non funzionava più: “Il Covid non ha creato problemi dal nulla, ma ha esasperato quelli già presenti, rendendoci, però, più consapevoli ed inclini al cambiamento”. Ecco perché secondo la CEO di LBV è questo il momento giusto per cambiare. “Siamo una specie adattiva, apprendiamo e ci comportiamo di conseguenza. Ogni transizione, anche il diventare genitori, per esempio, ci trasforma senza che siamo più in grado di tornare indietro”.

Il fatto è positivo: il cambiamento ci arricchisce di competenze, motivazioni, risultati migliori e più adatti al nuovo ambiente. Il ruolo dell’azienda è quello di consentirci una transizione positiva, ‘guardandoci’ con occhi nuovi, nella nostra complessità ed interezza di individui. La certezza di tutti è che nulla tornerà come prima: la buona notizia è che possiamo scegliere se subire questa transizione (e le altre cui siamo sottoposti nella vita), oppure se farle diventare un’opportunità.

Convivio 2020, HR, cambiamento, feedback, crisi


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Chiara Pazzaglia

Bolognese, giornalista dal 2012, Chiara Pazzaglia ha sempre fatto della scrittura un mestiere. Laureata in Filosofia con il massimo dei voti all’Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna, Baccelliera presso l’Università San Tommaso D’Aquino di Roma, ha all’attivo numerosi master e corsi di specializzazione, tra cui quello in Fundraising conseguito a Forlì e quello in Leadership femminile al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum. Corrispondente per Bologna del quotidiano Avvenire, ricopre il ruolo di addetta stampa presso le Acli provinciali di Bologna, ente di Terzo Settore in cui riveste anche incarichi associativi. Ha pubblicato due libri per la casa editrice Franco Angeli, sul tema delle migrazioni e della sociologia del lavoro. Collabora con diverse testate nazionali, per cui si occupa specialmente di economia, di welfare, di lavoro e di politica.

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