carico di lavoro

Il lato oscuro della settimana corta: stesso carico di lavoro in meno giorni

Da quando la pandemia ha portato cambiamenti senza precedenti, nel mondo del lavoro si è discusso molto sulla settimana lavorativa di quattro giorni. Lo ha ricordato la Bbc, riportando quanto emerso di recente da studi e dibattiti basati sulle esperienze di chi l’ha sperimentata. I primi risultati, ha fatto notare l’emittente britannica, suggeriscono che i potenziali benefici includono un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata e un maggiore benessere generale, senza alcun costo per la produttività dei dipendenti. Ma mentre i giorni diminuiscono, il carico di lavoro, in molti casi, rimane lo stesso e davanti a una settimana più corta i lavoratori spesso devono adattarsi a nuove pratiche e a orari più lunghi.

I dibattiti su quanto debba durare la settimana lavorativa non sono una novità. Nel 1926, la casa automobilistica Ford standardizzò il tempo di lavoro dal lunedì al venerdì; prima di quel momento la pratica comune fissava in sei giorni il tempo dedicato alle attività lavorative, con le sole domeniche libere. “La teoria di Henry Ford era che lavorare cinque giorni, con la stessa retribuzione, avrebbe aumentato la produttività dei lavoratori, poiché le persone, accorciando la settimana lavorativa, si sarebbero impegnate di più”, ha spiegato Jim Harter, Chief Scientist per la Gestione e il Benessere del posto di lavoro presso Gallup, società di analisi statunitense. La teoria si è dimostrata corretta: nei decenni successivi, la settimana lavorativa di cinque giorni è diventata una pratica comune.

Negli Anni 50, tuttavia, i sindacati chiesero di prendere in considerazione la settimana di lavoro da quattro giorni, ma l’idea non ebbe lo stesso successo di quella di Ford e la sua evoluzione si è dimostrata lenta. Uno studio di Gallup diffuso a marzo 2020 ha mostrato che solo il 5% degli oltre 10mila dipendenti coinvolti nella ricerca lavorava quattro giorni su sette. Con l’irrompere dalla pandemia, però, questa strutturazione del lavoro è stata presa maggiormente in considerazione e, ha evidenziato la Bbc, c’è stato un evidente aumento del numero di annunci di lavoro basati su una settimana lavorativa di quattro giorni. “I recenti cambiamenti indotti dal Covid-19 hanno portato l’attenzione sul tema”, ha dichiarato Alex Soojung-Kim Pang, Program Director dei 4 Day Week Global, no profit che promuovere attivamente il modello della settimana corta.

Il benessere si rafforza, ma la fidelizzazione si indebolisce

La ricerca ha provato a indagare sia gli aspetti positivi sia quelli negativi della settimana lavorativa di quattro giorni. Ciò che è emerso è che mentre il benessere dei dipendenti aumenta e le situazioni di burnout si riducono, il legame con l’impresa si indebolisce, perché lavorando meno giorni le persone si sentono meno coinvolte e hanno maggiori probabilità di allontanarsi dall’azienda. Inoltre, per i lavoratori più attivi e quotidianamente impegnati a pieno regime, una settimana lavorativa più breve potrebbe rendere il loro carico di lavoro, già pesante, meno gestibile.

Parlare di settimana corta, però, può voler dire tanto altro. Esistono infatti diversi modelli di settimana lavorativa da quattro giorni che vanno dal taglio di un giorno senza intervenire sulle ore di lavoro, alla riduzione dell’orario fino a casi in cui sono assegnati tempi di lavoro più intensi in cui il modello tradizionale è compresso in quattro turni, ovviamente più lunghi. Spesso il processo di cambiamento è accompagnato da nuovi strumenti e pratiche operative che, ha riportato la Bbc, aumentano l’efficienza e si traducono tendenzialmente in un aumento del benessere dei lavoratori che alimenta a sua volta la produttività. Ma senza cambiamenti operativi attentamente pianificati c’è invece un maggiore rischio che l’azienda decida di introdurre la settimana corta con l’idea di valutarne le potenzialità mano a mano che il tempo passa. Dal punto di vista di Pang questo rischia di renderne più difficile la gestione tanto da parte dei lavoratori quanto da parte della dirigenza.

Dalla flessibilità alla personalizzazione

Secondo un recente sondaggio sempre proposto dalla Bbc, su 4mila lavoratori negli Stati Uniti l’83% vorrebbe una settimana lavorativa di quattro giorni. Ciò rende più probabile che le aziende alla ricerca di talenti possano prediligere su questo modello. Pang avverte che, anziché aumentare la pressione sul personale affinché lavori più rapidamente in meno giorni, un’attenta riflessione e preparazione sono fondamentali per rendere sostenibile questa impostazione: “Non conosco molte aziende che utilizzano la settimana breve con successo senza aver trasformato radicalmente le loro attività quotidiane. È fondamentale modellare una settimana lavorativa più breve che sia più equa per tutti, dai dirigenti fino ai lavoratori in prima linea”.

Harter, invece, ha suggerito un modello di lavoro più personalizzato per ogni dipendente, che può includere anche la settimana lavorativa corta: “Quattro giorni potrebbero essere la risposta per alcune persone. Il lavoro flessibile, nel quale anche la settimana corta potrebbe rientrare, è generalmente apprezzato dai dipendenti perché è visto come maggiormente orientato al benessere e allineato con un ambiente di lavoro moderno”. Dalle parole ai fatti, però, la strada è ancora lunga e molti, ha raccontato l’emittente britannica, hanno scoperto che mettere in pratica il nuovo modello comportava anche compromessi come giornate lavorative più lunghe, giovedì ad alta pressione (perché di fatto era l’ultimo giorno per chiudere le attività settimanali) o una maggiore preoccupazione per le opinioni dei responsabili.

Non solo: le sperimentazioni della settimana corta hanno messo il mondo del lavoro davanti a questioni che riguardano più in generale i trend di trasformazione di aziende e lavoratori. Tra questi, l’importanza di non perdere di vista gli obiettivi, il valore di una cultura aziendale condivisa e i nuovi orizzonti che si aprono quando le personalità coinvolte sono considerate come singoli individui con esigenze e prospettive specifiche.

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Erica Manniello

Laureata in Filosofia, Erica Manniello è giornalista professionista dal 2016, dopo aver svolto il praticantato giornalistico presso la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli. Ha lavorato come Responsabile Comunicazione e come giornalista freelance collaborando con testate come Internazionale, Redattore Sociale, Rockol, Grazia e Rolling Stone Italia, alternando l’interesse per la musica a quello per il sociale. Le fanno battere il cuore i lunghi viaggi in macchina, i concerti sotto palco, i quartieri dimenticati e la pizza con il gorgonzola.

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