Il lavoro oltre la performance

Sabato 1 maggio 2021. La prima mail della giornata è in risposta a un messaggio di Stefano Zamagni che mi fa gli auguri per la mia ‘odierna festa’. Mi conosce bene, in effetti sto per andare in ufficio. Ma che significa? Se non dovessi muovermi per incontrare una persona lavorerei da casa. Il luogo non vincola la prestazione. Non per tutti i lavori per lo meno.

Possiamo dire che il lavoro si divide tra le professioni che si possono ‘remotizzare’ e quelle che sono vincolate a un luogo. Tutte le attività remotizzabili hanno trovato collocazione in una dimensione ‘smart’ e questa transizione è stata accompagnata da una narrazione che si è innestata su un contesto emotivo fortemente condizionato dalla pandemia. Una dimensione di estrema fragilità che non ha consentito di elaborare lucidamente il contesto.

La realtà è che senza che ci fosse il tempo per prepararsi lo Smart working è diventato un modo di lavorare sempre più diffuso accompagnato da un cambio di paradigma: non si remunera il tempo ma il risultato. Premesso che tutto ciò non trova ancora riscontro nella contrattualistica, credo che la misurazione del risultato meriti qualche approfondimento. Rileviamo che tutti i lavoratori il cui lavoro è gestito da un algoritmo stanno combattendo dure battaglie per liberarsi dalla logica della performance a tutti i costi. Just Eat, che assumerà i suoi rider, ha già fatto un passo indietro e posto un limite alle consegne orarie.

Performare va bene, ma ci sono limiti umani che non possono essere valicati. Quindi cosa intendiamo esattamente con ‘performance’? L’esecuzione di un task? Ma il lavoro non è anche altro? Non c’è un corredo di attività che magari non si prestano ad una misurazione immediata ma contribuiscono ad arricchire, magari in un tempo differito, le prestazioni non solo nostre ma di tutto il nostro team? Non è pericoloso e fuorviante ridurre il lavoro alla sola misurazione della sua prestazione? È corretto esaltare l’efficienza a tutti costi?

Il lavoro è anche altro e far percepire valori intangibili è più complicato se si lavora a distanza. Forse è anche difficile creare le occasioni. Quanto a occasioni, alle donne la pandemia ne ha sottratte parecchie. Sono loro che hanno più sofferto, tanto che la crescita dell’occupazione femminile è un obiettivo trasversale alle 6 missioni del nostro Pnrr. Ma il nostro non è solo un problema di opportunità. Nel nostro Paese, insieme con il lavoro, mancano infrastrutture sociali e contesto culturale.

La responsabilità di far crescere il lavoro umano

Il cammino verso la parità di genere è tutt’altro che risolto se il lavoro femminile, oltre che valere di meno, è ancora così difficilmente conciliabile con la gestione di una famiglia. Il lavoro delle donne, quando c’è, si porta dietro questioni irrisolte legate ai retaggi del patriarcato. E si vede, se i giornali hanno da poco riportato la vicenda personale della capogruppo di un gruppo parlamentare alla Camera: il prezzo per il suo impegno sono stati matrimonio e maternità. Due cosette da poco…

Stiamo affrontando un momento delicato perché la crisi provocata dalla pandemia, che ha falcidiato il lavoro di uomini e donne, si colloca all’interno di una transizione digitale che cambia le nostre vite e, di conseguenza anche il lavoro che ci sta dentro. I doverosi ragionamenti sulla conciliazione devono innestarsi all’interno di un più ampio ragionamento su quale tipo di mondo del lavoro si sta configurando.

Se prima della pandemia il problema era capire chi recuperava il bambino all’asilo mentre i genitori erano al lavoro, oggi dobbiamo chiederci cosa sta diventando il lavoro. La smaterializzazione, che in alcuni casi sarà inevitabile perché le aziende, nel frattempo, hanno già ridotto gli spazi e fatto sparire la tua scrivania, impone un ragionamento sul significato del lavoro, sull’organizzazione della vita, sulla gestione degli equilibri emotivi.

Nel nostro Pnrr è comparso l’impegno a condizionare l’esecuzione dei progetti all’assunzione di donne e giovani. Ma Tiziano Treu nel corso del PdM Talk di venerdi 30 aprile 2021, giustamente ci ha fatto notare che misure specifiche come questa a poco servono se non si esce da un’economia stagnante in cui non si cresce abbastanza in un Paese dove il ‘motore umano’ è costretto ad andare a metà regime. Economia verde e digitalizzazione dovranno servire a far crescere l’occupazione ma attenzione, aggiungo io, sarà anche una responsabilità politica far crescere il lavoro umano. Per questo, non possiamo limitare la festa del lavoro ad una generica richiesta di incremento dell’occupazione. I nuovi lavori si svilupperanno all’interno di nuovi contesti e dovranno essere alimentati da nuovi contenuti. È la Geworfenhait bellezza! Consiglio la rilettura dell’articolo di Francesco Varanini dedicato ad Heidegger. Una riflessione urgente.

L’articolo di Francesco Varanini dal titolo “Apprendere come essere manager con la guida di Heidegger” è stato pubblicato sul numero 283 di Sviluppo&Organizzazione.

 

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Chiara Lupi

Articolo a cura di

Chiara Lupi ha collaborato per un decennio con quotidiani e testate focalizzati sull’innovazione tecnologica e il governo digitale. Nel 2006 ha partecipato all’acquisizione della ESTE, casa editrice storica specializzata in edizioni dedicate all’organizzazione aziendale, che pubblica le riviste Sistemi&Impresa, Sviluppo&Organizzazione e Persone&Conoscenze. Dirige la rivista Sistemi&Impresa e governa i contenuti del progetto multicanale FabbricaFuturo sin dalla sua nascita nel 2012. Si occupa anche di lavoro femminile e la sua rubrica "Dirigenti disperate" pubblicata su Persone&Conoscenze ha ispirato diverse pubblicazioni sul tema e un blog, dirigentidisperate.it. Nel 2013 insieme con Gianfranco Rebora e Renato Boniardi ha pubblicato il libro Leadership e organizzazione. Riflessioni tratte dalle esperienze di ‘altri’ manager. Nel 2019 ha curato i contenuti del Manuale di Sistemi&Impresa Il futuro della fabbrica.

Chiara Lupi


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