La fine della scuola

Il dibattito sulla possibilità di prolungare le lezioni sino alla fine di giugno 2021 è sconfortante. Siamo ancora nel perimetro del periodo ipotetico della possibilità, ma è bastato che il nuovo Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi esponesse il progetto per scatenare reazioni avverse trasversali.

I docenti si sentono punti nel vivo: rivendicano di essere stati costretti a un superlavoro a causa della didattica a distanza (Dad). Il Presidente dell’Associazione nazionale presidi Giannelli prende tempo, il calendario scolastico dipende da come andrà l’epidemia, dice. Poi arrivano i sindacati, e lì le dichiarazioni sono un concentrato assoluto di benaltrismo: si possono fare recuperi, ma non generalizzati, i recuperi devono essere gestiti dalle singole scuole… e via sottolineando che il problema è ben altro, appunto, salvo non definire concretamente questo ‘altro’.

I presidi sono divisi sul tema, c’è chi sottolinea l’impossibilità di conciliare le lezioni con i concomitanti esami del primo e secondo ciclo, chi prende sul serio il riscaldamento del Pianeta e rifiuta la segregazione in torride aule (chissà come se la cavano i bimbi delle materne, che nelle classi degli asili ci stanno sino a fine giugno) e chi, fortunatamente, è più disponibile a trovare soluzioni che consentano di recuperare, oltre alla didattica, un po’ della socialità perduta.

La scuola non è solo apprendimento, lo aveva sottolineato anche Maddalena Gissi, Responsabile scuola Cisl, in una puntata di PdM Talk nella primavera 2020. Siamo consapevoli che i progressivi e continui tagli all’istruzione ora fanno emergere tutte le fragilità del ‘sistema scuola’. Ma in questo momento, accanto alle parole del neoministro, ci aspetteremmo una presa di posizione unanime e forte da parte di tutte le forze in campo. È il momento di abbandonare termini vaghi e prese di posizione attendiste. Vorremmo sentirci dire che si combatterà con tutte le armi a disposizione, che tutte le soluzioni, anche le più creative e diverse dalla tradizione consolidata, verranno considerate per salvaguardare la crescita, formativa e psicologica dei nostri ragazzi.

Serve una società per gestire le trasformazioni

Le critiche all’insegnante che nella primavera 2020 portò la sua classe in un parco sono letali quanto il virus. ‘Abbiamo sempre fatto così’ è un mantra che in azienda si combatte con ogni mezzo. È ora di traslare questi insegnamenti dall’azienda alla scuola se vogliamo dare un segnale ai ragazzi, alle famiglie ma anche a chi ci osserva da fuori.

Ricordo che i fondi che l’Europa ci ha assegnato sono ingenti proprio perché nel nostro Paese c’è tutto da ristrutturare. E leggere che i recuperi saranno mirati per chi è rimasto indietro è un concetto limitativo che denuncia una grave incomprensione della situazione di fatto. Sono tutti rimasti indietro, confinati all’interno di camere confortevoli per alcuni, molto meno vivibili per molti altri. Sono i ragazzi a chiedere attenzioni diverse. Insieme con i loro genitori, che sarebbero tranquillizzati dall’idea di una scuola che, con un’iniziativa straordinaria, si prende cura.

Perché siamo sprofondati in una crisi della cura, i modelli organizzativi della nostra sanità sono fragili e i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) dovranno servire per far evolvere in modo armonico e omogeno tutta la nostra società. Se nel mondo di prima andavamo in tre ore con un treno superveloce da Milano a Roma e poi attendevamo tre quarti d’ora un taxi, liquidavamo la faccenda con un lamento generico sull’inefficienza del sistema. Oggi che produciamo in nove mesi anziché nove anni vaccini che non riusciamo a distribuire, ci rendiamo conto che l’organizzazione complessiva della nostra società va rimodellata. Ma servono menti formate e capaci di intervenire in una situazione che solo gli sguardi più superficiali associano a un Dopoguerra.

Oggi non basta ricostruire, bisogna riprogettare e per questo la scuola rappresenta l’elemento fondante per la costruzione di una società adeguata a gestire le trasformazioni in atto. “Per troppo tempo ci siamo illusi di disporre di risorse umane di alta qualità, potendo contare su innate doti di intuizione, sulla pregressa esperienza e su una diffusa alfabetizzazione di base”, scrive Bianchi nel libro Nello specchio della scuola. “Certamente grazie a queste caratteristiche abbiamo affrontato la ricostruzione del Dopoguerra e dato vita a un primo boom economico, ma quanto più accelerano i cambiamenti tecnologici mutando il contesto in cui viviamo, tanto più quelle caratteristiche divengono insufficienti. Oggi tutte le statistiche dicono che la nostra dotazione di risorse umane non è adeguata alla globalizzazione e alla digitalizzazione che si sono imposte all’inizio del nuovo secolo”.
Il dibattito sulle due settimane di scuola in più ricorda l’orchestra del Titanic che non smette di suonare mentre la nave affonda.

formazione, riapertura scuola, Patrizio Bianchi, dad


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Chiara Lupi

Articolo a cura di

Chiara Lupi ha collaborato per un decennio con quotidiani e testate focalizzati sull’innovazione tecnologica e il governo digitale. Nel 2006 ha partecipato all’acquisizione della ESTE, casa editrice storica specializzata in edizioni dedicate all’organizzazione aziendale, che pubblica le riviste Sistemi&Impresa, Sviluppo&Organizzazione e Persone&Conoscenze. Dirige la rivista Sistemi&Impresa e governa i contenuti del progetto multicanale FabbricaFuturo sin dalla sua nascita nel 2012. Si occupa anche di lavoro femminile e la sua rubrica "Dirigenti disperate" pubblicata su Persone&Conoscenze ha ispirato diverse pubblicazioni sul tema e un blog, dirigentidisperate.it. Nel 2013 insieme con Gianfranco Rebora e Renato Boniardi ha pubblicato il libro Leadership e organizzazione. Riflessioni tratte dalle esperienze di ‘altri’ manager. Nel 2019 ha curato i contenuti del Manuale di Sistemi&Impresa Il futuro della fabbrica.

Chiara Lupi


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