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La miopia della politica dei sussidi

Circa un mese fa, il Governo dava vita al decreto Rilancio: l’Esecutivo si era preso un po’ di tempo in più rispetto alle attese – quel decreto in origine doveva chiamarsi “Aprile” – ma per promuovere la ripartenza di un intero Paese a seguito di un’emergenza pandemica, era comprensibile un piccolo ritardo. Quella misura, però, di “rilancio” conteneva ben poco; a nostro giudizio si concentrava soprattutto sul fronte sussidi (necessari) piuttosto che sulle misure per ripartire.

Pesanti critiche erano arrivate da Confindustria: era solo l’ennesimo scontro tra il neopresidente degli industriali Carlo Bonomi e il Premier Giuseppe Conte, diventato poi un aperto antagonismo che, però, non serve a un Paese bloccato e che riceve periodicamente qualche pillola per sopravvivere.

A conferma che non potevano bastare i decreti governativi per rilanciare l’Italia, sono arrivati gli Stati generali dell’economia di Villa Pamphilj voluti da Conte in persona, che sta ascoltando mezzo mondo per arrivare a definire un grande piano di riforme, di cui finora si è solo parlato. Anche in questo caso Confindustria ha già bocciato l’azione di Governo, nonostante il confronto de visu sia in programma nei prossimi giorni.

In attesa di diffondere il vero programma di rilancio e incurante delle critiche, per ora l’Esecutivo ha aggiunto quattro settimane di cassa integrazione a quelle già previste dal decreto Cura Italia. Plaudono i sindacati, che rilanciano chiedendo che la misura copra tutto il 2020 (la Cgil propone anche il blocco dei licenziamenti), mentre l’Istat ha comunicato che fino a inizio maggio circa il 70% aveva fatto ricorso alla cassa integrazione (o a strumenti analoghi).

Da quanto è emerso, si stima che gli ammortizzatori sociali costino circa 25 miliardi di euro: Conte ha parlato di una “misura molto onerosa”, ma necessaria perché “in Italia non vogliamo la disoccupazione”. Tuttavia, lo stesso Premier ha riconosciuto che “è necessario riformare ammortizzatori sociali e cassa integrazione che si sono rivelati farraginosi”.

Impresa e lavoro per rilanciare l’Italia

Le ultime misure, come detto, sono certo necessarie in questo momento storico. Ma, a nostro giudizio, dovrebbero essere bilanciate da stimoli concreti di rilancio dell’economia; fino a quando, infatti, potremo vivere di sussidi? E chi si farà carico di sovvenzionarli? Da quanto ha fatto emergere Banca d’Italia, ad aprile 2020 è stato registrato -20,4% sulle entrate tributarie contabilizzate nel bilancio dello Stato, a causa della sospensione di alcuni versamenti fiscali e del peggioramento del quadro macroeconomico.

A criticare la direzione intrapresa, oltre a Confindustria, è stato anche l’economista Enrico Giovannini, che fa parte della task force di Vittorio Colao, voluta – ricordiamolo – dall’Esecutivo. “Dalle nostre analisi sui decreti Cura, Liquidità e Rilancio emerge come siano stati privilegiati provvedimenti di protezione invece che politiche in grado anche di promuovere, preparare, prevenire e trasformare come suggerisce l’Unione europea”, ha detto Giovannini in un’intervista a La Stampa.

Anche Colao, ormai arrivato al termine dell’esperienza con la sua task force dopo l’audizione agli Stati generali, ha spiegato che “l’Italia si rilancia solo con impresa e lavoro”. Il suo piano contiene 121 proposte di rilancio, che molti hanno definito un ‘libro dei sogni’. Immaginiamo che il Governo sia stato dello stesso parere, visto come sono andate le cose con l’ex manager di Vodafone.

La domanda, quindi, resta sempre la stessa. Oltre ai sussidi, quali sono le azioni concrete per ripartire? Possiamo affidarci ai bonus per i monopattini e le biciclette? E poi: bene far ripartire il calcio – settore che genera circa 5 miliardi di euro di fatturato (il dato è del Bilancio Integrato 2018 della Figc, la rendicontazione annuale della Federcalcio) – ma quanto dovremo aspettare per un piano che tenga conto anche degli altri settori? Per esempio, perché i giocatori possono ‘accerchiare’ l’arbitro per protestare, aggirando le norme di distanziamento (che per altro sono impossibili da rispettare in una partita di calcio!), mentre le aziende che promuovono eventi in presenza devono ancora attendere delle linee guida cui attenersi? A colpi di sussidi sopravviveremo. Intanto altri Paesi hanno ripreso a camminare e presto correranno. Speriamo di non perderli di vista e che non si allontanino troppo.

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Dario Colombo

Articolo a cura di

Giornalista professionista e specialista della comunicazione, da novembre 2015 Dario Colombo è Caporedattore della casa editrice ESTE ed è responsabile dei contenuti delle testate giornalistiche del gruppo. Da luglio 2020 è Direttore Responsabile di Parole di Management, quotidiano di cultura d'impresa. Ha maturato importanti esperienze in diversi ambiti, legati in particolare ai temi della digitalizzazione, welfare aziendale e benessere organizzativo. Su questi temi ha all’attivo la moderazione di numerosi eventi – tavole rotonde e convegni – nei quali ha gestito la partecipazione di accademici, manager d’azienda e player di mercato. Ha iniziato a lavorare come giornalista durante gli ultimi anni di università presso un service editoriale che a tutt’oggi considera la sua ‘palestra giornalistica’. Dopo il praticantato giornalistico svolto nei quotidiani di Rcs, è stato redattore centrale presso il quotidiano online Lettera43.it. Tra le esperienze più recenti, ha lavorato nell’Ufficio stampa delle Ferrovie dello Stato italiane, collaborando per la rivista Le Frecce. È laureato in Scienze Sociali e Scienze della Comunicazione con Master in Marketing e Comunicazione digitale e dal 2011 è Giornalista professionista.

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