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L’illusione della conoscenza facile

Potrei rispolverare la solita metafora della maratona, facilmente considerata come un simbolo – anche da chi non l’ha mai corsa – di fatica (positiva) per raggiungere un risultato. Ma ho un blog dedicato proprio alla corsa (Manager in corsa) e non voglio restare imprigionato nello stesso argomento. Cambio decisamente tema: dalla corsa all’energia nucleare.

Nella serie tivù Chernobyl – di recente trasmessa anche da La7 – sul disastro della centrale nucleare in Ucraina avvenuto nel 1986, in una delle cinque puntate della serie, Valerij Alekseevič Legasov, Vicedirettore dell’Istituto dell’energia atomica Kurčatov e parte della squadra incaricata di gestire le conseguenze del disastro, è costretto a spiegare il concetto di fissione nucleare a Boris Evdokimovič Ščerbina, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri e capo dell’Ufficio per il Combustibile e l’Energia, nonché guida della Commissione governativa su Chernobyl.

Lo scienziato riassume brevemente il concetto; al termine della spiegazione si sente dire dal burocrate che la sua presenza, ora che “sa tutto dell’energia nucleare”, non è più necessaria. L’espressione di Legasov a questa affermazione è emblematica. Gli si legge in volto la ricerca di senso per tutti gli anni trascorsi alla facoltà di Ingegneria Fisico-Chimica dell’Istituto di Chimica e Tecnologia Mendeleev di Mosca, quelli passati alla scuola di specializzazione nel dipartimento di Fisica Molecolare dell’Istituto Kurčatov di Energia Atomica e pure il periodo del dottorato in chimica.

Negli Anni 80 il World wide web non permetteva di accedere al vasto sapere con un clic. Dunque per conoscere bisognava affidarsi ai metodi tradizionali, senza scorciatoie. Nonostante l’incauto commento, lo stesso Ščerbina di Chernobyl se ne rende conto e Legasov resta al suo posto nella commissione, giocando un ruolo decisivo sull’indagine del disastro, dimostrando – non senza difficoltà – le problematiche strutturali della centrale nucleare.

Il rischio del sapere non mediato

Oggi, a differenza del passato recente, abbiamo l’accesso a ogni fonte proprio grazie alle tecnologie digitali che ci consentono di informarci su qualsiasi argomento ci venga in mente. La navigazione sul web permette di avere a disposizione tutti i dati. A patto che si sappiano cercare. Orientarsi nel mare magnum delle informazioni, che – dobbiamo ammetterlo – spesso comprendono anche tante fake news, è complicato: serve una bussola a guidarci nel mare aperto per conoscere con precisione.

Recuperare qualche dato per un sapere superficiale è alla portata di tutti (Wikipedia offre una conoscenza davvero illimitata); diverso è il caso in cui si voglia approfondire. Ščerbina avrebbe potuto accontentarsi delle poche nozioni di ingegneria nucleare per assolvere il compito cui era stato chiamato? All’inizio si era illuso di sì, ma – per fortuna – si è tenuto stretto Legasov, che in altre occasioni ha poi sbrogliato la matassa.

Il rischio del sapere non mediato è, dunque, quello di costruirsi una conoscenza ‘relativa’ e illusoria: l’utente ha le domande, ma queste non sono certo sufficienti per ottenere le giuste risposte. Quale la soluzione? Affidarsi alle fonti corrette. E chi decide se la fonte è affidabile o meno? Chi ha la competenza per discriminarle.

‘Ritorno al naso’

Di recente ho moderato una Discussione promossa da Sviluppo&Organizzazione, la più longeva rivista italiana dedicata all’organizzazione aziendale ed edita dalla casa editrice ESTE, sul tema dell’arte di organizzare. Dal confronto tra Amministratori Delegati e Direttori HR-Organizzazione, è emerso con evidenza come nell’organizzazione la tecnologia sia un supporto alle attività che l’essere umano (almeno finché le intelligenze artificiali non prenderanno il sopravvento) è chiamato a gestire, mettendo a disposizione persino i suoi bias ‘positivi’, cioè quelle deviazioni dalla razionalità del giudizio che possono fare la differenza nel processo decisionale. In questo caso, dunque, i bias positivi sono frutto dell’esperienza.

Durante la discussione, si è, infatti, parlato di ‘ritorno al naso’, inteso come l’applicazione di modelli di conoscenza tradizionali anche a fronte del potenziale messo a disposizione dalle tecnologie. Il naso come strumento ideale per respirare l’aria, al fine di capire e conoscere il reale stato delle cose. Niente di nuovo, se si considera che circa 30 anni fa Herbert Simon, premio Nobel per l’Economia, raccontava di come nelle organizzazioni, nonostante le informazioni disponibili, i capi azienda preferissero sincerarsi di ciò che raccontavano i numeri andando a verificare di persona sul campo. I numeri, infatti, andavano – e vanno tuttora – interpretati. E il processo di interpretazione implica l’applicazione di un modello che risente della storia di chi lo adotta.

Anche chi scrive un libro – o un articolo – sceglie le fonti e poi si fa garante di ciò che firma. Avrei potuto continuare ad approfondire il disastro di Chernobyl affidandomi alla logica degli ipertesti di Wikipedia o alle svariate pagine sul web; ho scelto di acquistare un libro, nel quale si esplicita l’autore del testo e la sua biografia. Ho peccato di ingenuità credendo che esistesse una sola opera capace di raccontare la ‘vera storia’ di quanto successo: ne ho trovati almeno tre. Ho scelto quello che, in più, offre anche uno stile narrativo più coinvolgente e meno di cronaca.

Leggendo l’estratto disponibile sul web, l’autore dichiara di aver svolto un’attività di ricerca durata almeno cinque anni e proseguita anche dopo la prima stesura del volume grazie all’ausilio degli utenti della piattaforma Reddit, un sito di social news, intrattenimento e forum (è il sesto sito più visitato al mondo). Come lui stesso spiega, anche l’autore di questo libro voleva documentarsi sull’accaduto. Ma, scrive nell’introduzione, alcuni libri erano troppo tecnici, altri articoli erano imprecisi e intanto sulla Rete si moltiplicavano i contenuti con versioni leggermente diverse della storia, aumentando le contraddizioni sulla vicenda. “Così, dopo aver cercato a lungo ciò che avrei voluto leggere, ed essendomi reso conto che non esisteva, ho deciso di scrivere io”.

Per conoscere non serve per forza scrivere un libro. Ma di certo occorre fare un po’ di fatica; anche per cercare sul web. Un vecchio proverbio russo si dice che reciti: “Fidati, ma verifica”. La battuta è stata messa in bocca ad Aleksandr Čarkov, Primo Vicedirettore del Kgb. Ovviamente è una battuta della serie tivù Chernobyl

PS: Il libro è Chernobyl, 01:23:40 di Andrew Leatherbarrow (Salani Editore, 2019)

fatica, tecnologie, conoscenza, organizzazioni


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Dario Colombo

Articolo a cura di

Giornalista professionista e specialista della comunicazione, da novembre 2015 Dario Colombo è Caporedattore della casa editrice ESTE ed è responsabile dei contenuti delle testate giornalistiche del gruppo. Da luglio 2020 è Direttore Responsabile di Parole di Management, quotidiano di cultura d'impresa. Ha maturato importanti esperienze in diversi ambiti, legati in particolare ai temi della digitalizzazione, welfare aziendale e benessere organizzativo. Su questi temi ha all’attivo la moderazione di numerosi eventi – tavole rotonde e convegni – nei quali ha gestito la partecipazione di accademici, manager d’azienda e player di mercato. Ha iniziato a lavorare come giornalista durante gli ultimi anni di università presso un service editoriale che a tutt’oggi considera la sua ‘palestra giornalistica’. Dopo il praticantato giornalistico svolto nei quotidiani di Rcs, è stato redattore centrale presso il quotidiano online Lettera43.it. Tra le esperienze più recenti, ha lavorato nell’Ufficio stampa delle Ferrovie dello Stato italiane, collaborando per la rivista Le Frecce. È laureato in Scienze Sociali e Scienze della Comunicazione con Master in Marketing e Comunicazione digitale e dal 2011 è Giornalista professionista.

Dario Colombo


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