Più produttivi, ma con fatica

Tre dipendenti su cinque hanno percepito di essere più produttivi. Ma per due su cinque gestire le attività di lavoro è stato più difficoltoso. Una situazione che potrebbe sembrare un ossimoro, se i tempi non fossero così strani ed eccezionali da giustificare questa stranezza. I dati, infatti, riguardano il lavoro in pandemia che in Italia due terzi dei dipendenti – secondo i dati più recenti – hanno svolto da casa. I tempi sono maturi per ragionare su come sia andata?

Probabilmente sì, se pensiamo che con i vaccini e con le misure sempre meno restrittive le aziende si stanno assestando su una modalità di lavoro sempre più ibrido, che tiene conto dei mesi di lockdown e di lavoro da remoto. A fare luce su come abbiano vissuto il lavoro in pandemia i dipendenti ci ha pensato uno studio condotto da Yonder Consulting e commissionato da Workday, azienda di applicazioni cloud per la gestione finanziaria e HR, che ha chiarito l’impatto dell’emergenza sanitaria sulla vita professionale e sulla forza lavoro, proponendo dati più precisi su cui costruire il ‘new normal’.

Lo studio ha coinvolto circa 17mila dipendenti in nove Paesi europei (personale di livello inferiore rispetto alla carica di ‘direttore’, inserito in aziende con più di 250 dipendenti) con un sondaggio condotto nell’autunno 2020. I risultati sono abbastanza chiari, anche se non mancano sorprese: l’Italia, infatti, nonostante il basso posizionamento nel Digital economy and society index (Desi) della Commissione europea, risulta tra i Paesi che hanno sfruttato maggiormente il lavoro da remoto, con il 65% dei dipendenti che hanno lavorato da casa (la media europea è stata del 27%). Il 49% delle persone, tuttavia, non aveva mai svolto le proprie mansioni fuori dall’ufficio, ma a quanto pare per quasi l’80% non è stato un problema.

Pur sentendosi più produttivi (così si è dichiarato il 56% degli intervistati), molti dipendenti hanno trovato più difficoltà a lavorare da remoto. La causa è stata identificata nell’inadeguata risposta alla crisi da parte dei leader di lavoro. Che, al di là di questo e pur non avendo nella maggior parte dei casi coinvolto i dipendenti nelle decisioni riguardanti il futuro delle imprese, sono comunque stati percepiti come “affidabili”, “disponibili” e “onesti”.

Dalle aziende crescita, formazione e competitività

Dal canto loro, le aziende hanno cercato di rispondere sempre con un atteggiamento positivo alla crisi sanitaria e professionale, tentando di assicurare ai collaboratori l’accesso costante e sicuro agli strumenti, alle informazioni e alla formazione. E, d’ora in avanti, l’accesso agli uffici: oltre la metà delle aziende intervistate, infatti, sta mettendo in campo risorse per garantire il ritorno al luogo di lavoro in sicurezza.

Un atteggiamento importante, quest’ultimo, che può fare percepire ai dipendenti la vicinanza della dirigenza, se pensiamo che, come mostrano altri dati della ricerca, non tutti sono ottimisti riguardo al prossimo futuro. Il 31% degli intervistati, infatti, si sente intrappolato nel proprio ruolo a causa dell’incertezza economica; il 18% pensa che il proprio stipendio non aumenterà; e le donne e i dipendenti del settore ristorazione dichiarano di avere basse aspettative rispetto all’occupazione.

Ciò che le aziende possono fare ora è dunque supportare la propria forza lavoro con strumenti adeguati e opportunità di crescita. Non a caso, i dipendenti presi in considerazione hanno dichiarato che la motivazione maggiore arriva dallo stipendio competitivo, da un buono schema di bonus e dalla possibilità di crescere e sviluppare nuove competenze. Nuove competenze che attirano, soprattutto, i più giovani (gli Under 35), che ritengono fondamentale nella ricerca di un nuovo ruolo le opportunità di formazione e crescita che questo porta con sé.

Pianificare, quindi, diventa la parola chiave per puntare alla crescita nel futuro (anche nel breve termine), come ha spiegato Federico Francini, Country Manager di Workday Italia. “La pandemia ha creato una situazione di emergenza alla quale tutta la forza lavoro ha dovuto rispondere prontamente in qualche modo. In Italia, la leadership delle aziende ha dimostrato di saper fronteggiare velocemente il cambiamento malgrado le forti insicurezze percepite dai lavoratori più giovani. Abbiamo visto quanto incide la motivazione legata alla formazione e allo sviluppo professionale, quanto reskilling e upskilling siano la chiave di un buon equilibrio nelle organizzazioni. Una buona pianificazione è ormai prioritaria”.

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Sara Polotti

Sara Polotti è giornalista pubblicista dal 2016, ma scrive dal 2010, quando durante gli anni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (facoltà di Lettere e Filosofia) recensiva mostre ed eventi artistici per piccole testate online. Negli anni si è dedicata alla critica teatrale e fotografica, arrivando poi a occuparsi di contenuti differenti per riviste online e cartacee. Legge moltissimo, ama le serie tivù ed è fervente sostenitrice dei diritti civili, dell’uguaglianza e della rappresentazione inclusiva, oltre che dell’ecosostenibilità.

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