Elearning, anche la formazione si fa smart

La Ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina ha detto di voler affrontare l’emergenza didattica, data dalla chiusura delle scuole per prevenire la diffusione del contagio da coronavirus, studiando soluzioni per la formazione a distanza. Su Linkedin le ha risposto Claudio Erba, founder e CEO di Docebo: “Datele il mio numero di cellulare”.

Un post provocatorio? “Per niente”, risponde a Parole di Management Erba, che non è senz’altro un neofita dell’argomento: Docebo, nata nel 2005 in Brianza, sviluppa soluzioni per l’elearning, sfruttando gli algoritmi dell’Intelligenza Artificiale, per rendere efficace e coinvolgente la formazione aziendale. I numeri della società ne testimoniano il successo: 6 milioni di utenti in tutto il mondo, quotazione alla Borsa di Toronto. Insomma, Erba è uno che se ne intende e forse la Ministra farebbe bene ad accettare qualche consiglio.

“Non voglio vendere nulla al Ministero, perché Docebo non si occupa di didattica scolastica, ma solo di formazione aziendale, che segue modelli totalmente differenti”, spiega il CEO. Ma mette insieme qualche considerazione: “La formazione a distanza per gli studenti richiede prima di tutto grande flessibilità”.

Bocciata dunque l’idea di una mastodontica piattaforma statale, che ci metterebbe anni a vedere la luce, sarebbe già obsoleta al momento del lancio e “andrebbe in crash al primo accesso”. Il suggerimento è, piuttosto, quello di lasciar fare alle singole scuole: “Ognuna ha senz’altro, al suo interno, dei tecnici o dei docenti più smart, più innovatori. Bisogna lasciar fare a loro”, spiega Erba. Nessuno conosce gli studenti meglio dei loro insegnanti: “Questi sistemi, per essere efficaci, non devono piacere ai burocrati o al corpo docenti, ma ai ragazzi. Bisogna essere attrattivi e parlare il loro linguaggio”.

“I loro eroi sono gli youtuber, gli instagrammer, non guardano la televisione come i loro genitori. Oggi ci sono infinite tecnologie gratuite a disposizione, che non graverebbero sulle casse degli istituti. Non servono piattaforme da cui scaricare pagine e pagine da studiare, nessuna lunga narrazione, ma pillole formative, con la collaborazione dei pari, che si facciano promotori di questa innovazione”.

Il lato positivo della situazione emergenziale è che ci ha in qualche modo stimolati al cambiamento, a non dare più per scontati i sistemi scolastici tradizionali, ma a sperimentare soluzioni nuove. “Ci sono studenti che, per malattia o altro, ne avrebbero bisogno sempre: dall’occasionalità si dovrebbe poi passare alla normalità”, è la tesi di Erba. E la stessa cosa avviene per lo Smartworking: l’emergenza ha visto la nascita di tante nuove, temporanee postazioni in remoto.

Ma anche questo modo di lavorare non si improvvisa: non a caso, la corsa ai ripari di tante aziende italiane è stata interpretata come elemento di debolezza dalla finanza internazionale. Invece, le aziende come Docebo, che da sempre prevedono un giorno fisso a settimana di lavoro agile e che, ora, l’hanno esteso alle due settimane di “quarantena”, sono state addirittura premiate dalla Borsa, che lo hanno interpretato come uno strumento di resilienza e resistenza alla fragilità del momento. Ecco perché, anche in Italia, questi sistemi di studio e lavoro a distanza dovrebbero diventare al più presto normali: sarebbero molte di meno le emergenze che fanno paura.

Smartworker non ci si improvvisa

Dello stesso parere è anche Franco Amicucci, Founder e CEO di Skilla – Amicucci Formazione, elearning company italiana specializzata nello sviluppo di soluzioni per innovare formazione e comunicazione interna. Anche lui vede il lato positivo della “quarantena”, che dà occasione di sperimentare soluzioni innovative anche a chi era reticente. Tanti si sono dovuti improvvisare, ma così facendo, forse, hanno compreso che per studiare e lavorare a distanza servono molte abilità. Prima di tutto strumenti digitali adeguati, poi competenze specifiche di studenti e lavoratori in termini di gestione ed organizzazione del proprio tempo. Infine, occorre tenere conto della dimensione psicologica ed emotiva che si trova ad affrontare un lavoratore, abituato alla condivisione diretta del suo spazio e della sua mansione, o uno studente, abituato all’aula (e al corridoio dell’intervallo).

La tecnologia ci viene senz’altro in aiuto: oggi non ci sono più grandi barriere, la soglia di ingresso è più bassa, anche grazie alle molteplici soluzioni open source. Ma strumenti così potenti vanno usati bene: “Per quanto riguarda la formazione a distanza, bisogna tenere conto di fattori quali la soglia di attenzione dei partecipanti e l’efficacia della trasmissione delle informazioni. Per lo Smartworking, occorre considerare le trasformazioni sociali e del mondo del lavoro che esso comporta”, dice Amicucci.

Questa parentesi emergenziale “potrà aiutare PMI e Manifattura a comprendere che i tempi sono cambiati e devono adattarsi”. Oggi persino Fondimpresa finanzia fino al 40% di formazione nella forma online. Per i piccoli e i piccolissimi si potrebbe pensare a forme di condivisione della formazione, per incentivarli all’utilizzo. Lo stesso discorso vale per le scuole: anche Amicucci boccia l’idea di una ‘mega piattaforma’ statale, in favore dell’autonomia delle singole scuole.

“Si possono centralizzare i servizi, certamente, ma non la didattica”. Sarebbe un cambiamento grande quanto quello che sta portando con sé la diffusione dello Smartworking, che non si improvvisa: anche per imparare a lavorare da remoto serve formazione. “Questa innovazione richiede un cambio di abitudini, di mentalità, di concezione del lavoro, di leggi. Non significa solo ‘portarsi il lavoro a casa’ ”. Anche perché è sempre più diffuso lo Smartworking dagli spazi di coworking: ciò richiede una revisione delle abitudini che, per anni, ci siamo portati dietro, dal lasciare le foto dei figli e i fascicoli sulla scrivania, al fare telefonate ad alta voce.

Il lavoro da spazi comuni non standard, che possono comprendere anche bar, librerie, biblioteche, come già avviene negli Usa, prevede una nuova etichetta del lavoro, una nuova letteratura organizzativa. E non bisogna cadere nella trappola dell’equazione “lavorare da casa è più comodo e bello”: il frigorifero è più vicino, così come le tentazioni domestiche. Deve essere piacevole farlo, quindi occorre tenere presenti i possibili rischi da isolamento e i limiti nella gestione della leadership, che è senz’altro più facile da affermare e mantenere in un ambiente di lavoro tradizionale. Amicucci, tuttavia, auspica che questo sistema si possa espandere anche al settore produttivo, nei limiti del possibile, perché i vantaggi in termini di riduzione dell’inquinamento, risparmio di tempo negli spostamenti, produttività sono notevoli.

Imparare è un gioco da ragazzi

Ed è positivo anche il messaggio lanciato da Ettore Fareri di L&P, società di consulenza che si occupa di formazione del personale, Ricerca e Selezione di nuovi candidati, consulenza di carriera e diagnostica delle competenze tramite un innovativo strumento digitale: la gamification. Si tratta di utilizzare i principi ludici e di piacevole utilizzo, nonché l’interattività dei normali videogiochi, applicandoli però all’ambito della formazione. L&P offre diversi servizi alle banche, per esempio: per i dipendenti diventa un gioco mercanteggiare nella Venezia storica, insieme con tanti noti personaggi del passato.

Ecco che i serious game potrebbero essere attrattivi anche per gli studenti e garantire un sistema di formazione piacevole ed efficace in questi giorni di chiusura forzata delle scuole. Così come potrebbe esserlo per i loro genitori, costretti a casa: “Perché non sfruttare la ‘distanza’ del lavoratore, in questa fase emergenziale, per proporre pacchetti formativi?”, si chiede Fareri. Senz’altro sarebbe un modo produttivo di impiegare le giornate dei tanti lavoratori costretti a operare in remoto. Essendo estremamente flessibili, questi giochi trovano molteplici applicazioni: il lavoro sulle soft skill operato dalla gamification potrebbe cambiare i nostri paradigmi formativi definitivamente, non solo nei giorni della lotta al contagio.

D’altra parte, il mercato dell’apprendimento basato sulla gamification è in rapida crescita: si prevede un valore di 8,1 miliardi di euro per il 2022. Più del 70% delle grandi aziende statunitensi utilizza questo metodo, con risultati misurabili, che vanno dal 19% del’aumento dei livelli di impegno, all’8% dell’aumento di produttività del personale, al 60% di risparmio nella formazione. Soprattutto in questo periodo, in cui la formazione a distanza deve essere estesa anche a coloro che non ne hanno mai fatto uso, un approccio soft come quello dei serious game sarebbe sicuramente una buona idea.

eLearning, smart working coronavirus, azzolina, Docebo


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Chiara Pazzaglia

Bolognese, giornalista dal 2012, Chiara Pazzaglia ha sempre fatto della scrittura un mestiere. Laureata in Filosofia con il massimo dei voti all’Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna, Baccelliera presso l’Università San Tommaso D’Aquino di Roma, ha all’attivo numerosi master e corsi di specializzazione, tra cui quello in Fundraising conseguito a Forlì e quello in Leadership femminile al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum. Corrispondente per Bologna del quotidiano Avvenire, ricopre il ruolo di addetta stampa presso le Acli provinciali di Bologna, ente di Terzo Settore in cui riveste anche incarichi associativi. Ha pubblicato due libri per la casa editrice Franco Angeli, sul tema delle migrazioni e della sociologia del lavoro. Collabora con diverse testate nazionali, per cui si occupa specialmente di economia, di welfare, di lavoro e di politica.

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