Il futuro incerto del lavoro agile

Se è vero, come diceva Immanuel Kant, che un individuo è tanto più intelligente quante più incertezze riesce a sopportare, questa considerazione dovrebbe valere, a maggior ragione, per le future sorti dell’istituto dello Smart working (assurto a notorietà generalizzata proprio in virtù della perdurante emergenza Covid-19) in quanto la sua concreta capacità di ‘resilienza’ potrebbe tra non molto essere messa a dura prova da una serie di fattori, giuridici e sindacali, che verranno successivamente richiamati, seppur in modo sintetico.

L’effettiva configurazione prossima nel tempo di questi fattori potrebbe infatti incidere notevolmente sulla reale evoluzione di un istituto che proprio in quanto smart (cioè “intelligente”, in senso letterale e non solo) pare ormai trovarsi a un bivio (in prospettiva neppur tanto lontano e comunque in caso di auspicata fine dell’epidemia) tra ‘crescita impetuosa’ e ‘rapida decrescita’ (non può dirsi per altro quanto felice…) a seconda, per l’appunto, del verificarsi o meno di una serie di condizioni che possano incanalarlo verso l’una o l’altra direzione e al limite trasformarlo in un vero e proprio tricky Smart working, cioè in qualcosa di estremamente complicato e per nulla facile da gestire.

Ciò proprio in virtù di un insieme di incertezze che, per quantità, ma soprattutto per qualità, è in grado di agevolarne o minarne il successo futuro in relazione alla capacità di sopportarne il peso da parte dei potenziali utilizzatori: in primis il datore di lavoro, che resta pur sempre il capo, ex art. 2086 del Codice civile, dell’organizzazione dell’impresa privata (campo al quale si limita la presente analisi, perché l’applicazione dello Smart working nel settore pubblico richiederebbe probabilmente considerazioni a loro volta del tutto particolari), cioè di una ‘comunità’ che, per funzionare bene, ha comunque bisogno di regole il più possibile chiare e stabili (o, per converso, flessibili, ma da gestirsi assolutamente cum grano salis).

Lo ‘scenario’ legislativo del lavoro agile

Questa necessità si farà quindi ancor più sentire in un momento in cui lo Smart working, da soluzione emergenziale e in qualche modo semplificata nella sua attuazione – a causa della legislazione collegata al bisogno immediato di fronteggiare la diffusione del virus attraverso il lavoro da remoto (il più delle volte sotto forma di Home working subìto, invece che consapevolmente scelto) – e pertanto in uno status metaforicamente ancora adolescenziale, potrebbe in teoria raggiungere una piena maturità che consenta di caratterizzarlo davvero come uno degli atout essenziali del ‘mondo nuovo’ del XXI secolo.

Il ‘vecchio mondo’ era invece dominato dalla ‘fisicità’ della produzione, dalla ‘materialità’ delle regole e delle relazioni a ciò connesse, e non dalla ‘liquidità’ (per utilizzare le efficace espressione di Bauman) della società attuale e dalla crescente smaterializzazione e decentramento dell’attività di impresa, che però continua a trovare il suo cardine in un Codice civile del secolo scorso e a essere immersa in una disciplina giuslavoristica e delle relazioni sindacali anch’esse impregnate da una logica del tutto novecentesca.

Se questo iato tra tendenze della società e tendenze del diritto assumeva un’importanza non trascurabile (ma tutto sommato non così significativa) in una fase 1 dell’emergenza Covid così repentina e, si immaginava, transitoria, la stessa cosa non si potrà certo dire immaginando una possibile evoluzione verso uno Smart working molto più diffuso, che possa giungere a rappresentare una modalità ‘normale’ della prestazione del lavoratore subordinato (per non dire una possibile causa di ‘mutazione genetica’ verso un impianto contrattuale ‘di fondo’ molto più simile a quello di un lavoratore parasubordinato, oppure addirittura autonomo).

Ci si trova di fronte, pertanto, a una fase in cui risulta imprescindibile analizzare quali possano essere – in uno scenario di agevolazione o di freno alla prospettiva di una ragionevole attesa di ‘incrementabilità’ o meno della diffusione dell’istituto – alcune scelte di carattere legislativo e sindacale dotate di una forte capacità di incidenza nell’uno o nell’altro senso, poiché idonee a indirizzarne positivamente o meno l’evoluzione.

Valutazioni e rischi

Grazie alla creazione di uno scenario complessivo di regole per l’applicazione dello Smart working, infatti, la disciplina giuridica che ne deriverà finirà per assumere un’importanza strategica, pari alle valutazioni di carattere prettamente organizzativo. In particolare, andrebbe valutato se si corre veramente il rischio, paventato da qualche autorevole commentatore, di passare paradossalmente da una notevolissima agilità gestionale dello strumento a una sorta di iper-giuridificazione e burocratizzazione del medesimo che possa per assurdo ‘sopprimerlo’ nella culla, invece che garantirgli vita lunga e felice.

In quest’ottica più ampia, e francamente sinora un po’ trascurata, bisognerebbe focalizzarsi soprattutto su cinque aspetti fondamentali:

• il mantenimento di una struttura legislativa tarata soprattutto sulla presenza di poche regole di base e sugli accordi individuali tra datore di lavoro e dipendente;

• l’ampliamento del campo d’intervento della contrattazione collettiva sulla materia (oggi pressoché inesistente);

• in tale seconda ipotesi, il livello tecnico nel quale detta contrattazione collettiva possa meglio dispiegarsi (nazionale, territoriale o aziendale); la permanenza o meno nell’alveo della subordinazione, come tradizionalmente intesa, di una siffatta tipologia di rapporto di lavoro;

gli spazi di potenziale invasività della giurisprudenza per interpretare la normativa vigente e completarne l’applicazione, laddove si riscontri l’esigenza di curarne qualche ‘smagliatura’ o integrarne il contenuto mediante una specie di apporto creativo da parte del singolo giudice, interessato da contenziosi tra posizioni diverse (che oggi coinvolgerebbero soprattutto la giurisprudenza di merito, stante il fatto che per la novità della materia – la legge attuale è del 2017 – è difficile attendersi a breve un intervento significativo del terzo grado di giudizio, cioè della Corte di Cassazione).

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Novembre-Dicembre di Sviluppo&Organizzazione.
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Smart working, lavoro agile, futuro


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Ernesto Di Seri

Docente a contratto di Diritto per l'Ingegneria all'Università Luic Carlo Cattaneo di Castellenza. Sulla rivista ESTE Sviluppo&Organizzazione cura la rubrica 'Gli scenari del lavoro' in cui analizza le dinamiche complesse del lavoro, innescate da fattori sociali, tecnologici, giuridici e contrattuali.

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