Maternità

La discriminazione colpisce (ancora) la maternità

La discriminazione dovuta alla gravidanza è purtroppo comune in tutto il mondo. Anche se è illegale in molte nazioni, i datori di lavoro continuano a retrocedere, penalizzare o licenziare le dipendenti durante il periodo della gravidanza. Secondo i dati diffusi nel 2014 dall’Istat, per esempio, una madre su quattro a distanza di due anni dalla nascita del figlio, nell’arco di tempo che andava dal 2010 al 2012, non aveva più un lavoro. L’ostilità può essere palese o sottile e in molti casi le strutture create per aiutare le donne ad affrontarla finiscono per deluderle. Tutto questo può avere un grande impatto dal punto di vista tanto economico quanto psicologico sulla vita delle persone coinvolte, oltre a infliggere pesanti danni alla loro vita professionale. 

Questa forma di discriminazione può manifestarsi in modalità diverse e può verificarsi prima, durante e dopo la gravidanza, compresi i periodi di congedo parentale. Una dipendente incinta potrebbe essere licenziata – cosa che secondo quanto riporta la Bbc è legalmente consentita in quasi 40 Paesi – esclusa da una promozione, spostata in un ruolo a bassa retribuzione, obbligata a lavorare in condizioni difficili o, direttamente, non venire assunta (un caso estremo è la richiesta di fare un test di gravidanza prima dell’assunzione). 

Ma ci sono anche modi meno evidenti in cui i datori di lavoro potrebbero penalizzare chi aspetta un figlio. Un’azienda potrebbe, per esempio, escludere il personale in gravidanza dalla formazione professionale e da altre opportunità. Oppure consentire o alimentare mancanze di rispetto e sentimenti negativi nei loro confronti, con l’intento di spingere alle dimissioni.  

Una madre su 10 in Gran Bretagna viene licenziata 

Mancano statistiche complete, ma le stime esistenti suggeriscono che la discriminazione in gravidanza è dilagante. Nel Regno Unito, l’11% delle madri intervistate nel 2015 da un sondaggio riportato dalla Bbc ha riferito un licenziamento. Molte altre avevano ricevuto commenti negativi relativi alla gravidanza. Dal punto di vista di Elizabeth Gedmark, Vicepresidente dell’associazione statunitense A better balance che gestisce una linea di assistenza per le lavoratrici vittime di discriminazione in gravidanza, negli Stati Uniti, le donne di colore con un basso salario sopportano il peso maggiore dei maltrattamenti legati al diventare madri.  

La pandemia ha inoltre fatto emergere la difficile situazione dei genitori in attesa e dei neogenitori nel mondo del lavoro a basso salario, soprattutto nei Paesi con scarse tutele. In quei casi le lavoratrici continuano a essere costrette a lasciare il lavoro o obbligate a lavorare in condizioni non sicure per la loro gravidanza. Gli impatti economici di un licenziamento durante l’attesa o la maternità sono poi molto rischiosi: “Abbiamo visto persone diventare senzatetto, ne abbiamo viste altre perdere la loro assicurazione sanitaria durante la gravidanza. Questo è molto, molto pericoloso”, ha commentato Gedmark.  

Spesso datori di lavoro e dipendenti non conoscono le leggi che proteggono il personale da questo punto di vista. Inoltre, le risposte alle violazioni sono spesso deboli. Anche nei Paesi provvisti di protezioni relativamente forti per la gravidanza e la maternità, pochissime persone – nel Regno Unito meno dell’1% secondo la no profit Pregnant then screwed – finiscono per procedere per vie legali, spesso preoccupate per le ritorsioni dei datori di lavoro e per gli effetti a lungo termine sulla loro carriera.  

Negli Stati Uniti, invece, accertare legalmente forme di discriminazione legate alla gravidanza è molto difficile e il Pregnancy discrimination act prevede che le dipendenti dimostrino che altre in situazioni simili hanno subìto trattamenti simili. Cosa non sempre semplice, senza mettere tra l’altro in conto lo stress emotivo di un percorso di questo tipo. In Sudafrica, restando nella lista delle cattive notizie, nel 2000 un tribunale ha decretato che la discriminazione in gravidanza poteva essere giustificata nel contesto di una “economia in rapida espansione” come quella sudafricana. Casi successivi hanno però affermato anche nel Paese africano il diritto delle dipendenti in attesa di essere temporaneamente assegnate a mansioni non pericolose. 

Uno spiraglio di luce, però, lo si intravede. Dal punto di vista della testata britannica il solo fatto che in tutto il mondo il fenomeno della discriminazione in gravidanza sia sempre più spesso un tema di discussione e di confronto può essere motivo di cauto ottimismo. La speranza è che porti a un cambiamento di spessore se non per chi oggi sta affrontando questi problemi almeno per i loro figli. 

Fonte: Bbc 

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Erica Manniello

Laureata in Filosofia, Erica Manniello è giornalista professionista dal 2016, dopo aver svolto il praticantato giornalistico presso la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli. Ha lavorato come Responsabile Comunicazione e come giornalista freelance collaborando con testate come Internazionale, Redattore Sociale, Rockol, Grazia e Rolling Stone Italia, alternando l’interesse per la musica a quello per il sociale. Le fanno battere il cuore i lunghi viaggi in macchina, i concerti sotto palco, i quartieri dimenticati e la pizza con il gorgonzola.

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