Nuovi modelli per affrontare l’incertezza

Pier Luigi Celli, con il suo stile ricercato, strutturato, pragmatico e cinico, colpisce attraverso l’analisi spietata e completa delle organizzazioni moderne che rappresenta nel suo libro La vita non è uno Smart working (ESTE,2021). Quelle organizzazioni che devono funzionare bene, con una struttura gerarchica definita e potere decisionale concentrato nel vertice, ma che nel farlo sacrificano il “pensiero critico”, creano “deserti emotivi” e “miopia cognitiva”.

La domanda che si pongono tutti, soprattutto quelle complesse e caratterizzate da articolati sistemi di processi, procedure e normative che disciplinano per strutturare l’azione e non lasciano spazio a dubbi interpretativi, è come perseguire gli obiettivi in un contesto dove l’imprevedibilità è un fattore distintivo determinante? E allora, proprio nel momento della crisi pandemica che ha portato al distanziamento fisco, nasce l’esigenza di “vedere l’impresa non solo come apparato produttivo, ma anche un micro-mondo sociale”. Proprio dove è importante la valorizzazione delle persone e dei profili, la vera inclusività (e non quella da pubblicità verso il mercato e gli azionisti) e la costruzione dell’intelligenza collettiva.

Chi si occupa di gestire la crisi nelle aziende, prova a immaginare e codificare gli eventi di questo tipo e strutturare successivamente (sempre attraverso processi e procedure) il modo per gestirli. La visione di Celli è in totale contrapposizione a questo approccio. Attraverso il suo libro denuncia come il problema non si risolve “tamponando l’emergenza”. La soluzione è quella di riabituarsi a fare delle domande, di partire dall’insoddisfazione degli esiti ottenuti con il fallimento delle risposte a disposizione.

Soprattutto, non di perseguire la soluzione ottimale, bensì di sviluppare una nuova cultura organizzativa basata sulla flessibilità, di pensiero e di azione, che sia presente in tutti i livelli dell’organizzazione (a partire dal vertice). E allora, di nuovo, al centro della gestione di una situazione di crisi vengono fuori le abilità tipicamente umane (Celli cita la capacità di astrazione, l’estro, l’improvvisazione, il pensiero critico), quelle capacità che probabilmente fino a ora erano state ‘subissate’ dalle procedure classiche. Secondo Celli “bisogna legittimare modi di pensare ragionevoli, adattivi, che incorporano le eccezioni e non si scandalizzano del dubbio”. Peccato che nelle aziende i dubbi sono sinonimo di debolezza e incompetenza.

Molto interessante anche la sua visione sul ruolo della tecnologia e di come le reti di connessione digitale hanno eliminato i limiti spazio-temporali, mettendo in discussione le architetture organizzative aziendali e i perimetri delle funzioni. Ho trovato bellissimo il concetto della commistione dei due spazi: quello dove “si funziona”, ovvero l’ufficio, e quello dove “si esiste”, la casa. In questi due luoghi siamo diversi, ma allo stesso modo gli stessi. Eppure, veniamo condizionati dal contesto e dal giudizio a cui siamo sottoposti. A casa siamo i padroni, in ufficio i servi e dobbiamo rispettare le procedure, lasciando da parte il pensiero critico e la capacità di discernere: quello che Celli definisce “una comprensione approfondita che consente di separare quello che conta da quello che è superfluo”. E di superfluo oggi nelle aziende ce n’è in abbondanza.

Per un cambiamento nel tessuto sociale

Ci si chiede come adottare i modelli organizzativi di oggi per affrontare le incertezze del domani. La ricetta celliana prevede maggiori deleghe, distribuzione delle decisioni, più connessioni di competenze e conoscenze, rivisitazione della catena comando-controllo, adozione di pratiche operative diverse. Ma soprattutto, ancora una volta, lungimiranza e coraggio nelle scelte, valorizzazione delle competenze, sviluppo di nuovi confini e di un’intelligenza collettiva estesa.

In questo anno difficile abbiamo tutti vissuto un nuovo modo di comunicare, non solo perché supportato dalla tecnologia. Abbiamo imparato a sviluppare interlocuzioni più informali, scambi e richiesta di pareri e non solo comunicazioni ufficiali previste dalla procedura tal dei tali o da specifiche direttive calate dall’alto.

Siamo ancora lontani dal cambiamento culturale necessario per fare il salto vero. E tale cambiamento deve avverarsi in generale nel tessuto sociale, dove il ruolo delle donne viene visto ancora con le lenti della tradizionale famiglia cristiana: la donna di casa, la madre dei figli, la moglie del capofamiglia. E allora ben vengano le provocazioni di Celli e le sue risposte coraggiose e fuori norma che possano fare nuova cultura, creare anime forti e cuori ostinati, quelli che servono per rompere i confini e gestire la vera trasformazione che serve in questo difficile momento storico.

L’articolo è pubblicato sul numero di Maggio-Giugno 2021 della rivista Sviluppo&Organizzazione.
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