Welfare e territorio, costruire un nuovo modo di fare impresa

I recenti casi di crisi aziendali e di decisioni drastiche che riguardano i lavoratori – la cassa integrazione per circa 5mila persone nell’ambito del passaggio a Conad dei supermercati Auchan, i 1.500 licenziati annunciati da Air Italy, i 6mila esuberi previsti da Unicredit e i tanti tavoli aperti al Ministero dello Sviluppo economico, tra i quali Ilva e Whirlpool – fanno riflettere sulla necessità di cambiare i modelli di business.

Oggi, soprattutto le piccole imprese, che formano la colonna portante del tessuto economico italiano, non hanno la forza di fare welfare da sole. Ma, come hanno spiegato Federico Della Puppa, Responsabile area Economia&Territorio di Smart Land, e Aldo Bonomi, fondatore del Consorzio Aaster, durante l’evento Wellfeel 2020 di Padova promosso dalla casa editrice ESTE, le imprese non devono fare tutto da sole. Nel territorio in cui sono radicate ci sono risorse inutilizzate che possono essere impiegate insieme alla comunità per produrre qualcosa per il benessere di tutti.

“Mettendo in relazione i luoghi di produzione con i sistemi di servizi e con il territorio, le imprese diventano fabbriche di comunità e costruiscono reti di relazione nei territori per fare welfare, collegando il valore aggiunto dell’impresa al valore sociale del territorio”, ha sottolineato Della Puppa. In questo modo, il territorio diventa una meta fabbrica, che produce ricchezza creando lavoro e benessere per le persone che ci vivono.

Cambiare l’approccio e il modello delle imprese

L’intervento del Responsabile area Economia&Territorio di Smart Land prende le mosse dalla considerazione che gli ultimi 10 anni hanno cambiato la fisionomia economica politica e sociale dello scenario in cui ci muoviamo.

“Il digitale ha cambiato i comportamenti delle persone e cambierà anche quelli delle imprese, spostando il focus da cosa facciamo a come lo facciamo. Siamo passati da un approccio lineare a uno circolare, dal fordismo alla sharing economy e dall’economia di massa a un’economia puntuale legata ai territori”.

Questa trasformazione, secondo Della Puppa, ha reso obsoleto e superato il modello di impresa come soggetto che cerca di fare business massimizzando i profitti. Perciò, è necessario cambiare anche il concetto e l’approccio al modo di fare impresa: “Dobbiamo passare da impresa nucleica a impresa come ‘progetto di vita’, lontano dalle dinamiche della grande industria del passato”.

È un approccio legato al concetto di qualità totale, secondo il quale tutti possono portare valore aggiunto all’impresa; un modello nel quale le funzioni sono integrate e non si parla dei collaboratori in termini di “risorse umane”, come se fossero oggetti.

Per abbandonare i modelli del passato, spiega l’esperto, bisogna prima superare la logica del singolo per andare verso una società delle relazioni. “L’approccio globale aiuta in questo: il digitale si svincola dalla vecchia logica capitalista del capitalismo molecolare, fatto da piccolissime imprese dove era il singolo a darsi un obiettivo, e si muove verso le politiche smart”. La tecnologia da sola, però, non può risolvere il problema delle relazioni.

Il territorio come meta fabbrica e le fabbriche di comunità

Della Puppa ha illustrato, come esempio, il modello ‘olivettiano’ di fabbrica. “Una volta le fabbriche non erano solo edifici: erano un laboratorio dove si producevano i prodotti e anche i pezzi che facevano funzionare le macchine; erano il luogo dove si studiava come produrre valore e si creava valore aggiunto non solo economico; erano il luogo dell’unione dei saperi e dove si archiviavano le conoscenze; ed erano anche la storia delle persone e un luogo di relazioni”.

L’organizzazione novecentesca del territorio italiano ha costruito un rapporto inscindibile tra luogo produttivo e luogo abitato, tra tempi della produzione e tempi del riposo, tra spazi di lavoro e spazi della cultura. Tanto che oggi il nostro territorio e la nostra economia non possono vivere di separazione. “Se invece pensiamo alla fabbrica solo come agli oggetti che contiene, si perde la dimensione della fabbrica come produttrice di benessere nei luoghi in cui si trova”.

Olivetti ha insegnato che non esiste più solo la produzione, ma anche l’appartenenza e ha inventato le comunità di fabbrica. “La fabbrica olivettiana è una meta fabbrica: un luogo innestato sul suo territorio, dal quale trae le risorse primarie per produrre profitto e in cambio restituisce welfare e non solo posti di lavoro. Mentre il territorio è il luogo di creazione del valore sociale”.

Una rivoluzione non ancora compiuta secondo l’esperto. “Dobbiamo realizzare un modo innovativo di fare fabbrica valorizzando le persone. Ciò che produciamo non è il prodotto, ma il valore, che deve essere valore sociale. Nell’attuale quadro economico e sociale, la lezione olivettiana è di guardare al territorio per costruire con esso e su di esso una nuova relazione tra luoghi e persone”.

Secondo Della Puppa, lo sviluppo economico e industriale per essere solido e avere orizzonti concreti nel medio-lungo termine deve guardare sempre più agli impatti sociali che genera e non solo a quelli ambientali e economici. “Diventare fabbriche di comunità vuol dire rinnovare il rapporto tra produzione e territorio, perché è ritrovando le ragioni del legame tra impresa e comunità locale che può esserci sviluppo vero, sostenibile, inclusivo e soprattutto duraturo”.

La conclusione dell’esperto è che oggi la fabbrica deve diventare il centro di un percorso di rigenerazione anche sociale, rinnovando le pratiche olivettiane, per arrivare a generare non solo prodotti ed economie, ma anche valore sociale nel territorio.

Nuove forme di impresa e i modelli di welfare aziendale

Secondo Bonomi, gli schemi interpretativi del passato non sono più in grado di interpretare le realtà aziendali. “Si è creata una lunga deriva tra il Novecento e il nuovo secolo ed è venuta meno la cassetta degli attrezzi per interpretare impresa e lavoro. Oggi non esiste un unico capitalismo, così come non esiste un unico welfare aziendale”. Per il docente, “siamo dentro una metamorfosi che riguarda l’impresa e il lavoro: in mezzo ci sta l’idea di futuro e di felicità”.

Il fondatore del Consorzio Aaster ha spiegato che in Europa esistono almeno cinque forme di impresa: il capitalismo anglosassone, in cui il welfare d’impresa è legato alla responsabilità sociale d’impresa; il capitalismo renano, in cui convivono grandi imprese e grandi sindacati con una co-gestione al vertice; il capitalismo alla francese, dove c’è una statualità agente molto forte; il capitalismo Anseatico, con imprese fondate su ricerca e innovazione; e il capitalismo di territorio, dove le pratiche di welfare aziendale dei pochi grandi gruppi non sono mutuabili.

Quest’ultimo è il modello che si ritrova anche in Italia. Il tessuto produttivo italiano, infatti, è formato da piccole e medie imprese cresciute attraverso una logica di filiera dal capitalismo molecolare. “Non è possibile fare welfare aziendale nelle Pmi senza ancorarlo al capitalismo di territorio perché c’è stato un cambio di paradigma: si sta riducendo il welfare state a favore di forme di welfare aziendale”.

Fiducia con le persone per creare un welfare territoriale

Per costruire questo welfare di territorio, però, serve la cooperazione di tutte le parti coinvolte. “Ci sono tre attori ‘deboli’ che vanno messi in comune: l’industria, il sindacato e i comuni”. Secondo Bonomi, solo mettendo insieme le risorse di queste tre punte si possono costruire prima una comunità di territorio e poi un welfare di territorio.

“Non esiste più la comunità d’impresa dopo Olivetti, perciò bisogna rifare le comunità. Dentro la metamorfosi in corso, però, c’è una grande voglia di comunità rinserrata e chiusa contro i cambiamenti. Per fare welfare territoriale, invece, bisogna dare speranza agli impauriti e ai rancorosi”. Il docente ha evidenziato che oggi, in Italia, c’è una bella fetta di società del rancore.

“Ma esiste anche una forte comunità di cura, formata non solo dal volontariato, dal Terzo Settore e dalle imprese sociali, ma anche dalla scuola, dal sindacato e da quelle imprese d’avanguardia che fanno welfare aziendale coinvolgendo tutta la filiera”. Ed è proprio in queste imprese che l’esperto ha individuato la soluzione per abbassare il rancore.

“Bisogna costruire coalizioni territoriali attraverso medie imprese leader, con una cultura d’impresa adeguata, che si occupino di tutta la filiera. E bisogna costruire una coalizione per il welfare territoriale mettendo insieme tutti gli attori, le piattaforme, le strutture e le competenze e ricostruire il legame di fiducia con le persone”, ha concluso Bonomi.

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