Leadership

Una palestra per la leadership

Come si fa ad adattare il concetto di leadership a un mondo in continuo cambiamento e del quale noi stessi siamo i mutevoli rappresentanti? Si può, per esempio, provare a pensare all’azienda come a una palestra e alla leadership come a una muscolatura che richiede un continuo allenamento con tecniche e princìpi da valutare di volta in volta. In altre parole, si potrebbe evitare di dare alle persone strumenti e lasciare che siano applicati: meglio individuarli insieme e allenarsi a utilizzarli in una dimensione continuativa. Si potrebbe, insomma, mettere in atto una forma di sostegno reciproco disegnata dalle persone coinvolte.

Lo pensa Roberta Fagotto, Chief Human Capital Officer del gruppo Sit, multinazionale leader nello sviluppo e produzione di valvole per caldaie e contatori. La manager dell’azienda padovana quotata in Borsa, verso la fine del 2020, con la sua squadra ha messo in atto la prima sperimentazione di un programma che –rispondendo a una precisa richiesta presentata dall’area Ricerca e Sviluppo (R&D)– ha fornito l’input per un progetto più ampio che andasse sì incontro alle esigenze promosse, ma facesse anche un passo in avanti, ridefinendo il modello di leadership.

Le tappe del progetto: si parte con la mappatura delle competenze

Come molte storie anche questa nasce da una necessità. Sit, che conta oltre 2mila dipendenti fissi e con un fatturato di circa 370 milioni di euro a fine 2020, aveva bisogno di dare un’accelerazione ai tempi di delivery dei nuovi prodotti per incontrare le crescenti necessità del mercato e l’incremento del business. Per farlo l’area HR, ponendosi come driver del cambiamento, ha fatto squadra con la funzione R&D per un lavoro a quattro mani che è diventato l’occasione per mettersi in discussione e portare in campo nuovi metodi e modelli.

“Per far fronte a questa necessità abbiamo deciso di partire dalla ‘Skill mapping’ (la mappatura delle competenze, ndr) della struttura R&D, in co-design con i manager di linea e le persone con ruoli anche più specialistici, con l’obiettivo di cercare di farle evolvere”, racconta Fagotto. Considerando i profili tecnici delle persone coinvolte – in particolare ingegneri, tecnici e laboratoristi – ci si aspettava che, in questo primo step, la richiesta principale fosse di affinare le competenze tecniche.

Con stupore, la Chief Human Capital Officer spiega che i feedback sono stati di tutt’altro tenore: “Le necessità che hanno manifestato sono state la volontà di collaborare in maniera diversa e più proficua con i colleghi, la serenità di prendersi rischi che permettesse loro di essere più performanti nel costruire poi dei sistemi che avessero impatto sui risultati e la necessità di compattezza. Ci stavano chiedendo una forma di sostegno reciproco qualsiasi cosa succeda e qualsiasi decisione si prenda”. Non è un caso ciò che è emerso: probabilmente prendere decisioni a testa alta nel periodo pandemico con un ritmo e una velocità differenti – il programma è partito a novembre-dicembre 2020 – è stato più difficile che mai e ha messo a dura prova tutti e tutte. “Nessuno sapeva se la decisione presa, che sembrava sensata in quel momento, sarebbe stata davvero quella corretta. Sapevamo che qualcosa di radicale stava evolvendo con l’introduzione del nuovo modo di lavorare e dovevamo, allo stesso modo, far evolvere la nostra leadership”, sottolinea la manager.

Una volta effettuata la mappatura, il secondo step ha previsto il Team coaching e la cultura del dialogo, in particolare con il meccanismo di Feedback 180: i partecipanti sono stati invitati ad autovalutarsi e a valutare le persone con cui lavorano quotidianamente sul campo sul modello di competenze che loro stessi avevano costruito: “Sono stati loro a definire le competenze e si sono messi in gioco per misurarsi con questo strumento che avevano concepito e che riconoscevano”.

Questa nuova modalità di engagement ha aperto la strada alla terza e ultima fase, un percorso di training per rinforzare e riprogrammare la leadership esecutiva sperimentando il nuovo modello di competenze. Si sono messe in campo conversazioni e pratiche che ruotano intorno all’idea di leader come coach, il capo che facilita e crea le condizioni. Fagotto la definisce una “leadership di qualità moderna”. Riassumendo l’intero sviluppo: “I partecipanti hanno lavorato su processi di decisione efficace, sulla delega, sui feedback però – e questo è l’aspetto più interessante – in una dimensione di ingaggio nuova che deriva da un modello costruito da loro”; sinonimo di un’azienda che evolve in modo partecipativo.

Il risultato è stato che, in termini di performance, c’è stata effettivamente un’accelerazione della delivery. Questa, agli occhi di Fagotto, è tuttavia solo uno dei benefici di questo nuovo approccio, che ha avuto il merito di abbattere le diffidenze tra le persone coinvolte, parlare lo stesso linguaggio e creare anche un clima di maggiore fiducia. “Il problema che stiamo affrontando ci accomuna ad altre aziende che rischiano di avere tecnici molto preparati che non avendo le competenze comportamentali distintive – quelle che una volta avremmo chiamato ‘soft skills’ – rischiano di rallentare progetti di evoluzione aziendale”, ragiona la manager. Ecco quindi che la missione della Direzione del Personale è stata quella di importare una leadership orientata al coaching in grado di cambiare il mindset del gruppo con un impatto positivo sulla cultura aziendale. “Inevitabilmente poi la performance si dirige verso l’eccellenza”.

L’errore come fonte di apprendimento e la delega come motore della collaborazione

Prima di dedicarsi a questo progetto, in Sit era stata sviluppata una modalità di Skill mapping più tradizionale, ma è chiaro da tempo che la responsabilità dell’evoluzione delle competenze sta a metà strada tra l’azienda e le sue persone. Un’interconnessione che si riflette anche sul modo di vedere la formazione non come ‘proprietà’ di un dipartimento, ma come uno stile che caratterizza tutta l’organizzazione, e quindi anche le persone che ne fanno parte. “Il rischio dell’obsolescenza delle competenze è sempre più evidente e pressante e si sta prendendo ormai coscienza di questo fenomeno. Noi siamo costantemente impegnati nello svolgere al meglio il nostro ruolo di facilitatori, abilitando le persone a formarsi e ad accedere alle opportunità di sviluppo dedicate ai loro specifici ruoli, attitudini, motivazioni e interessi, ma la responsabilità ultima dell’efficacia formativa è comunque condivisa”, spiega Fagotto.

Una responsabilità che da quando, nostro malgrado, abbiamo più o meno bene imparato a fare i conti con un’incertezza dominante, quella accentuata considerevolmente dalla pandemia di covid-19, costringe a confrontarsi con il rischio di sbagliare e sbagliarsi, per cui la formazione diventa potenziamento di mindset agile e sperimentale, quella forma mentis che ci permette di affrontare l’incertezza consapevolmente. “Il problem solving che abbiamo vissuto lavorando da casa, da soli, a volte senza saper gestire un qualcosa e venendone poi a capo, è un esempio significativo di questo”, prosegue la manager, spiegando come l’ottica trial and error sia la sola possibile anche per quanto riguarda i nuovi apprendimenti. “Con il covid sono state smantellate le abitudini consuete; quindi in questa condizione di instabilità non ci sono soluzioni e ricette giuste, solo approcci e programmi che funzionano più di altri e anche noi ci stiamo basando molto sull’osservazione e, in base a questa, interveniamo”. È un trend che ci riguarda tutti da vicino e che trasforma ogni momento in un’occasione di formazione, dall’incontro con un nuovo collega a una nuova App che magari ti offre qualcosa di inaspettato: “In un contesto così accelerato tutto diventa nuova formazione per definizione”. Se ‘imparare a imparare’ non è certo uno slogan moderno, oggi vale più che mai.

Valorizzare l’errore come fonte di apprendimento è anche la vision abbracciata dal gruppo di lavoro con cui Fagotto si è relazionata: essere leader, o meglio ancora coach, è anche questo. “Non è semplice, anche in questo Paese, scalzare la paura di sbagliare e lo vediamo anche con i sistemi scolastici, ripensando all’immagine della famosa penna rossa che correggeva i compiti”, precisa la manager. E se in questo ecosistema “errore” è una parola chiave, un’altra è “delega”: “Questa deve favorire lo sviluppo dei talenti individuali e aiutare a sviluppare un’energia positiva, che venga modulata. Su questo punto abbiamo investito molto perché i nostri manager ne sviluppassero la sensibilità”. Senza collaborazione, tuttavia, la delega porta poco lontano. “La nostra idea di sostegno è quella di una leadership che stimola scelte che vanno nella direzione di una collaborazione efficace. Questo ormai è diventato un passaggio chiave”.

Il valore del sostegno reciproco e della continuità

Sempre la pandemia è in qualche modo l’acceleratore dell’accresciuto valore, anche in azienda, del sostegno reciproco. A livello individuale chiunque se ne è reso conto nei momenti più difficili dell’emergenza sanitaria, ma anche in ambito lavorativo la costruzione di un modello di collaborazione basato sul supporto è determinante perché le cose funzionino. “C’è stata la necessità, sentita da tutti, di una collaborazione più attiva. C’è veramente un parallelismo tra quello che abbiamo vissuto come individui e come professionisti. Per questo vedo nella palestra di leadership la finalizzazione di quel sostegno disegnato dalle persone con regole definite da loro stesse e che servono d’aiuto in questo cambiamento e in questa evoluzione”, sostiene Fagotto. Questa, secondo la manager, è la strategia vincente, a patto che il tutto avvenga con continuità. Fagotto paragona il processo a una serie tivù: ogni passo è una puntata, non la fine di una stagione.

Pensare di avere a che fare con l’inizio di un percorso e non con il suo completamento, oltre a essere la visione più realistica nell’affrontare i grandi cambiamenti, è anche un ottimo modo per lasciare spazio a evoluzioni future. È in quest’ottica che il gruppo, per esempio, non esclude che pur avendo scelto di utilizzare la metodologia del Feedback 180 in un futuro possa utilizzare il più strutturato e profondo Feedback 360: “Non volevamo creare una rivoluzione, piuttosto un’evoluzione. Già non è stato facile attivare questi processi. Ma ribadisco che si tratta della partenza e non escludo un nuovo step per il futuro; per il momento la decisione è motivata dal non voler aggiungere eccessivo disagio al percorso”. Tuttavia, è chiaro che l’evoluzione proseguirà: “A un certo punto devi spingerti più in là, anche perché oggi il re è sempre più nudo e così anche il manager. Devi metterti a disposizione del collega e accettare il riscontro da parte sua in termini di osservazione”.

Questo tipo di approccio non è nuovo per l’azienda veneta (ma di respiro internazionale), che negli ultimi anni ha intrapreso diverse iniziative confrontandosi con le persone dell’organizzazione. Già prima della pandemia ha inaugurato un progetto di Smart working e i risultati sono stati talmente positivi in termini di engagement e di responsabilizzazione che con l’arrivo della pandemia è stato deciso addirittura di intervenire per limitare l’eccessivo lavoro di chi stava sovra-reagendo grazie anche a una netiquette del telelavoro condivisa proprio a inizio della pandemia con i collaboratori. Con una regolamentazione del lavoro a distanza a tutela dei lavoratori e delle lavoratrici sono state così circoscritte le interrelazioni tra colleghi, le riunioni, le telefonate e così via. Una sorta di diritto alla disconnessione strutturato in una lista di regole che vanno da un pranzo disconnesso all’indicazione di prendersi delle pause.

Adattarsi costantemente in un mondo intangibile

Sempre per assicurare il miglior benessere delle persone, durante la pandemia Sit ha messo a disposizione un numero di telefono – fuori dal network dell’azienda in modo da garantire una maggiore riservatezza – per il supporto psicologico, per poi portare il progetto anche oltre le linee telefoniche creando così un vero e proprio sportello, ancora in attività fino a dicembre 2021, nel polo produttivo di Rovigo, dove lavorano 600 persone. Tutto osservando e ascoltando: “Abbiamo cercato di adattarci costantemente e lo stiamo ancora facendo in base a quello che vediamo in termini di fenomeno umano relazionale organizzativo e in base poi a quello che le persone chiedono e chiederanno”, spiega Fagotto.

Di grandi difficoltà, dalla Skill mapping all’Execution leadership, la Chief of Human Capital Officer di Sit non ne ha riscontrate. Anche se, ammette, nella prima fase del lavoro sul feedback ci sono state persone che si sono dimostrate scettiche, lamentando di conoscere già le tematiche trattate, per poi però riconoscere che si trattava in realtà di tasselli fondamentali per tutto quello che sarebbe venuto successivamente. Oltre a questo, si dice che il primo passo è sempre quello più difficile: “L’ostacolo più grande è stato riscontrato all’inizio, quando si è valutato di partire con un metodo tradizionale per poi accorgersi che non funzionava e quindi abbiamo dovuto anche noi, come funzione HR, metterci in discussione su questo aspetto e resettarci”.

Un facilitatore. È questo che dovrebbe essere per Fagotto l’HR ai suoi diversi livelli di specializzazione: “L’idea è mettere le persone che lavorano in un’organizzazione virtuosa nella condizione di esprimere al meglio il loro potenziale e con il massimo della motivazione possibile”. La Direzione del Personale è insomma, dal punto di vista della Chief Human Capital Officer di Sit, un regista nei momenti di grande cambiamento, ma anche un attore non protagonista nei momenti di spinta all’azione. Una figura che, con una visione su ciò che sarà, si muove nel mondo intangibile di persone e competenze alla ricerca della perfetta armonia.

L’articolo è pubblicato sul numero di Novembre 2021 di Persone&Conoscenze.
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leadership, soft skill, coaching, SIT, Roberta Fagotto


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Erica Manniello

Laureata in Filosofia, Erica Manniello è giornalista professionista dal 2016, dopo aver svolto il praticantato giornalistico presso la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli. Ha lavorato come Responsabile Comunicazione e come giornalista freelance collaborando con testate come Internazionale, Redattore Sociale, Rockol, Grazia e Rolling Stone Italia, alternando l’interesse per la musica a quello per il sociale. Le fanno battere il cuore i lunghi viaggi in macchina, i concerti sotto palco, i quartieri dimenticati e la pizza con il gorgonzola.

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